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mercoledì 4 novembre 2015

Sviluppo e crescita



Sviluppo e crescita

Conoscere l’economia non è per niente un vezzo per sedicenti sapientoni. Al contrario, è indispensabile per comprendere cosa accade intorno e noi e persino dentro di noi. Non ha senso parlare di politica, di diritti e di quant’altro se non si comprende l’economia, perché essa determina quali sono la politica, i diritti e ogni altra cosa.
Lo sviluppo e la crescita, nel senso comune, sono considerati quasi dei sinonimi. Invece, si tratta di due modi completamente diversi di gestire l’economia. Essi, infatti, si riferiscono a tipi di politica economica, nel concreto, antitetici. Lo sviluppo è associato all’attuazione di una politica fiscale, che prevede l’intervento diretto da Parte dello Stato; la crescita è associata, invece, a una politica liberista, che prevede una partecipazione dello Stato meramente sussidiaria. Non vogliamo, in questo breve post, porci lo scopo di propendere per l’uno o per l’altro tipo di politica, ma solo mostrare su quali aspetti essi agiscano.
Nel caso dello sviluppo, la gestione dell’economia è affidata, contemporaneamente, sia alla liquidità, sia alla crescita. Cioè, lo sviluppo di un sistema economico avviene modulando assieme sia la quantità di moneta emessa all’interno del sistema economico, sia l’aumento delle attività produttive. Questo compito è affidato alla Spesa Pubblica che, come azione di supporto agli investimenti privati, normalmente molto fluttuanti, svolge più funzioni mediante: attuazione di investimenti pubblici per la realizzazione di infrastrutture, possibilmente utili, tra cui scuole, strade, ospedali, presidi idrogeologici e così via; sostegno ai redditi mediante prestazioni d’opera volti a fornire servizi alla collettività o anche sussidi nelle diverse forme possibili.
In sostanza, la politica fiscale, orientata allo sviluppo, pone al centro della propria attività il potenziamento o, quantomeno, il sostegno alla domanda di beni. Lo fa ricorrendo all’emissione di moneta che avviene attraverso indebitamento da parte dello Stato con i privati attraverso l’emissione di titoli di debito. Il recupero delle somme anticipate dallo Stato, quindi in condizioni di deficit di bilancio, cioè l’indebitamento, avviene attraverso la tassazione. Si badi che l’azione dello Stato, nonostante il recupero delle somme attraverso la tassazione, è comunque benefica perché la moneta emessa si traduce in moneta circolante, con un fattore moltiplicativo ben superiore all’unità e, poiché la tassazione avviene sul circolante e non sulla moneta emessa, il sistema economico, nel complesso, si sviluppa aumentando le proprie dotazioni.
Se la Banca Centrale, per Statuto, dipende dallo Stato, essa può cooperare per contenere gli interessi passivi sul debito, limitando l’indebitamento mediante l’acquisto dell’eccesso di titoli invenduti: il cosiddetto vincolo di portafoglio. Se, invece la Banca Centrale, per Statuto, è indipendente dallo Stato, essa non ha nei suoi confronti alcun vincolo e l’indebitamento può rischiare di divenire molto gravoso, per la quota concernente gli interessi passivi, perché lo Stato è esposto agli umori dei mercati finanziari, ove avviene l’acquisto dei titoli di debito. Come può ben comprendersi, l’efficacia della politica fiscale, da parte dello Stato, è quindi strettamente connessa al modo in cui la Banca Centrale interagisce con lo Stato. Può anzi dirsi che l’autonomia decisionale di uno Stato dipende dal modo in cui esso interagisce con la propria Banca Centrale.
In sostanza, lo Stato si prefigge l’obiettivo di potenziare il più possibile la domanda e, per far ciò, cerca di attuare una politica di pieno impiego e si comporta da: prestatore di ultima istanza, cioè sopperisce a un’eventuale contrazione degli investimenti privati mediante gli investimenti pubblici; consumatore di ultima istanza, cioè provvede all’acquisto dei prodotti invenduti per dare sostegno alle aziende in condizioni di crisi momentanea; prestatore di lavoro di ultima istanza, assumendo direttamente disoccupati per fornire servizi alla collettività.
Nel caso di un tipo di politica orientata alla crescita, l’azione dello Stato è diametralmente opposta a quanto abbiamo visto prima. Innanzitutto, per Statuto, la Banca Centrale è indipendente dal Governo. Anzi, il Governo – nel suo settore specifico: il Tesoro – non può intervenire sulle scelte della Banca Centrale, se non in settori specifici ben definiti e delimitati come, ad esempio, la Difesa. Per tutto il resto, lo Stato svolge un ruolo sussidiario. In realtà, esistono diversi approcci al modo di intendere l’indipendenza tra Banca Centrale e Tesoro e le varie sfumature indicano, proprio, il grado in cui l’organizzazione statuale si adatti al modello liberista o a quello fiscale.
Dal punto di vista liberista, l’azione dello Stato, attuata tramite la politica fiscale è di tipo discrezionale. Cioè, si tratta di azioni che, sebbene possano dare effetti positivi all’economia nel breve periodo, sono improvvidi, giacché allontanano il funzionamento dell’economia dalla condizione ottimale.
In particolare, le politiche di pieno impiego sono, sostanzialmente, illusorie perché nel sistema economico esiste sempre una quota di disoccupazione ineliminabile, detta disoccupazione volontaria. Inoltre, l’azione dello Stato introduce all’interno del sistema economico delle rigidità o, precisamente, esternalità, dovute al fatto che elementi estranei alla crescita delle attività produttive, introdotti dall’intervento statuale, impediscono la crescita di attività operanti sugli stessi settori su cui interviene lo Stato. Ad esempio, nel caso dell’istruzione, l’intervento statale impedisce alle attività formative private un’appropriata crescita.
Infatti, la crescita delle attività produttive può ottenersi al meglio, soltanto se il sistema economico opera in condizioni di concorrenza perfetta. Tale condizione è, infatti, il presupposto di base dei teoremi sul benessere tipici della concezione liberista. In tali condizioni, infatti, può raggiungersi l’equilibrio macroeconomico generale, che è un ottimo paretiano; cioè, una configurazione del sistema economico in cui tutti gli operatori massimizzano la propria utilità.
Un’altra critica molto aspra condotta alla politica fiscale, prevalentemente di origine monetarista, è che la Spesa Pubblica favorisce l’aumento dell’inflazione che vanifica del tutto, nel lungo periodo, gli effetti positivi della politica fiscale, ottenuti nel breve periodo. Pertanto, le politiche di pieno impiego sono soltanto azioni discrezionali di breve periodo che, nel lungo periodo, non solo si vanificano del tutto, ma introducono quelle rigidità nel sistema economico che ne ostacolano la crescita.
Sempre nell’ottica monetarista, fatta propria dalla concezione liberista, la Banca Centrale deve attuare un rigido controllo dell’emissione monetaria con lo scopo di mantenere stabile il livello dei prezzi. Ciò si traduce in un rigido controllo dei deficit di bilancio pubblico che, altrimenti, sono causa dell’inflazione. Secondo, infatti, la Teoria Quantitativa della Moneta, il livello dei prezzi è direttamente proporzionale all’emissione monetaria, tramite la velocità di circolazione della moneta che è costante, perché legata al comportamento istituzionalizzato dei singoli agenti economici.
Lo scopo della crescita attuata attraverso la concorrenzialità spinta al più alto livello, unitamente al mantenimento di un livello dei prezzi stabile ha una funzione ben precisa: rendere un sistema economico competitivo nella dinamica del commercio internazionale. In questo modo, un sistema economico, giovandosi di un livello dei prezzi stabile e il più basso possibile, e della capacità di offrire prodotti delle proprie aziende, se esporta più di quanto importa, può giovarsi di una liquidità aggiuntiva – il cosiddetto conto corrente (current account) – che però, non deve servire a potenziare la domanda di beni interna, bensì a produrre altra crescita e, quindi, maggiore offerta di beni sui mercati esteri, per rendere il sistema ancora più competitivo.
I sistemi, che entrano in deficit commerciale con un sistema competitivo di questo tipo, possono usufruire dei capitali – in conto finanziario (financial account) – che il sistema in surplus offre loro per crescere, attuando politiche liberiste che ne ristabiliscano la competitività.
Ci sono solo alcune domande che ci poniamo alla fine di questo post. È davvero possibile che un sistema in deficit possa, da solo, ristabilire la propria competitività? Come si fa a essere competitivi tutti allo stesso modo? Avrà mai fine questa ricerca ossessiva della competitività?
Vedremo che le risposte a queste domande sono tutt’altro che banali, anzi …

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