Perché l’economia dinamica
Perché vogliamo parlare di economia dinamica o econodinamica
o economia del non equilibrio? La
risposta è che la condizione di equilibrio ottimale predicata dalla teoria
neoclassica, l’equilibrio macroeconomico
generale, che sarebbe quella condizione per cui tutti gli operatori
massimizzano la propria utilità, uguagliando domanda e offerta tutti
contemporaneamente, è una condizione lontanissima dalla realtà.
Rispetto alla dottrina dell’equilibrio, è vero,
invece, il contrario. Le condizioni critiche, in assenza di provvedimenti
esterni, attuati da qualcuno che interviene dall’esterno del sistema economico
sono sempre presenti, mentre si generano continuamente condizioni che rendono
instabili i sistemi economici. Altro che laissez
faire, la presenza dirigistica dell’economia, oggi, è evidente in ogni
settore, la spinta alla crescita, il livello di tassazione cui non corrisponde
un analogo livello dei servizi, i tagli di spesa, le limitazioni a questo e
quello o gli incentivi a una e all’altra cosa sono evidentissimi. La mano che
guida l’economia è percepibile,
eccome se lo è; non è più una mano invisibile. Questo accade molto più spesso, ora, rispetto a qualche decina di anni fa, perché è stato rimosso qualcosa che, prima, stabilizzava l’economia; una sorta di volano che manteneva la stabilità dei cicli economici.
eccome se lo è; non è più una mano invisibile. Questo accade molto più spesso, ora, rispetto a qualche decina di anni fa, perché è stato rimosso qualcosa che, prima, stabilizzava l’economia; una sorta di volano che manteneva la stabilità dei cicli economici.
Occorre riappropriarci di questo volano, in grado di
accumulare l’energia economica nei momenti migliori e rilasciarla nei momenti
in cui il sistema tende a incepparsi, a fine di garantire stabilità al sistema economico.
Nella visione economica, oggi dominante, l’economia è statica e, in queste
condizioni, essa è armoniosa e perfetta. Sempre nella visione economica
dominante, quando l’economia si allontana dalla condizione di equilibrio,
diventando dinamica, la descrizione dell’economia muta radicalmente e la sua
descrizione, allora, diventa un’elencazione di bassezze, immoralità,
incapacità, inettitudini. Questo modo di pensare è, in realtà, la visione dirigistica aziendale applicata alla
macroeconomia.
In realtà, l’economia
non è affatto come un cavallo a dondolo
che oscilla attorno a una configurazione di equilibrio ma, come affermava
Keynes, è un cavallo imbizzarrito e,
come tale, va domato. Solo allora,
esso può rivelarsi utilissimo a una moltitudine di cose.
Le crisi ricorrenti sono il sintomo di un’instabilità congenita dell’economia;
cioè di una configurazione di ogni sistema economico tale per cui esso tende ad
allontanarsi indefinitamente dalla configurazione di equilibrio, quando
perturbato da cause esogene, anziché avvicinarsi a essa. E ciò può avvenire in
maniera del tutto imprevedibile, qualora non s’individui lo strumento in grado
di attenuare la tendenza all’instabilità. Occorre però farlo,
non con una visione dirigistica, ma studiando attentamente le leggi del caos che
sono all’origine di tale tipo di comportamento dell’economia. La grandezza che
determina come evolve il caos è
universalmente nota col nome di entropia.
Certamente, tale studio può apparire noioso e anche
intriso di pessimismo, ma questo è un piccolo prezzo da pagare per evitare di
perdere tutto ciò che sinora si è conquistato.
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