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mercoledì 28 ottobre 2015

La produzione e il caos



Capitale, lavoro e produzione

Un aspetto molto importante dell’economia è la comprensione del legame esistente tra il capitale, ossia l’insieme dei mezzi di produzione, il lavoro e la produzione stessa.
Nel caso di una singola azienda, quindi a livello micro, è certamente possibile definire senza troppe difficoltà un legame tra la produzione e il capitale e il lavoro impiegati per conseguirla. Ciò è possibile perché, a livello micro, la singola azienda non è in grado di influire significativamente sul livello dei prezzi complessivo che, perciò, è semplicemente un dato. Inoltre, i mezzi di produzione sono acquistati, quindi l’azienda non ha su di essi alcun controllo, in fase di produzione. Ciò anche se l’azienda si trova in posizione di monopolio sul mercato. Questo tipo di legame è rappresentato da una funzione, detta funzione di produzione, espressa da una relazione del tipo Y = F(K, L), in cui Y è la produzione, K il capitale e L il lavoro.
Secondo la visione economica dominante, tale tipo di funzione è pure definibile, tramite il Prodotto Interno Lordo (PIL), considerando il sistema aggregato come un’unica grande impresa. Fissate, dunque, le dotazioni di un sistema economico, cioè il capitale K complessivo e il lavoro L, la funzione di produzione restituirà un valore univoco della produzione corrispondente al livello di produzione naturale Yn del sistema economico. Sempre secondo tale visione, tale livello di produzione naturale è indipendente dal livello dei prezzi reale, perché questo si forma in condizioni di equilibrio macroeconomico generale tra domanda e offerta.
Infatti, secondo i teoremi di riferimento della teoria neoclassica (Walras e Arrow-Debreu), l’equilibrio macroeconomico generale dipende dal valore relativo di ciascun prodotto a meno di un fattore moltiplicativo arbitrario, il cui valore è determinato dall’equilibrio tra la domanda e l’offerta. Perciò, solo in condizioni di equilibrio è possibile definire il livello dei prezzi reale, mentre, in condizioni lontane dall’equilibrio, il livello dei prezzi è nominale. Agendo opportunamente sulla domanda, tramite appropriati interventi di politica economica, è possibile ottenere il livello di produzione naturale che è univoco perché dipende esclusivamente dalle dotazioni del sistema, unitamente al livello dei prezzi atteso; condizione che può realizzarsi nel lungo periodo, rimuovendo le rigidità e resistenze del mercato (liberalizzazioni). Secondo questa visione, l’attuazione di adeguate politiche economiche consente di regolare il livello dei prezzi di un sistema economico con lo scopo di conferire a esso una maggiore competitività nel commercio internazionale.
La descrizione molto sintetica e grossolana fatta della visione economica dominante, il mainstream, non permette di vedere l’enorme apparato logico e matematico su cui essa si fonda. Nonostante la sua potenza descrittiva, espressa da modelli matematici, talvolta molto sofisticati, tale modellazione dell’economia si presta a valutazioni critiche molto forti. Ricordiamo, infatti, che la tesi di un teorema matematico è vera solo se sono rispettate le ipotesi.
Le maggiori difficoltà che si riscontrano analizzando attentamente la costruzione teorica neoclassica sono le seguenti:
1.    nelle ipotesi di base del modello neoclassico è sempre supposto che l’informazione sia sempre completa e alla portata di tutti;
2.    è assente ogni riferimento all’evoluzione temporale dell’economia, sicché si fa riferimento a breve, medio o lungo periodo solo secondo il tipo di modellazione matematica attuata; ad esempio, il lungo periodo non è mai concretamente definito;
3.    il capitale, cioè, l’insieme dei mezzi di produzione non è un fattore produttivo originario, come può esserlo nel caso di un’azienda singola, ma è un fattore di produzione, a sua volta, prodotto; infatti, i mezzi di produzione entranti in un insieme aggregato di aziende sono stati, a loro volta, prodotti da altre aziende dell’insieme aggregato;
4.    viene attribuita alla moneta il ruolo di una merce meramente rappresentativa del valore.
Le difficoltà teoriche inerenti ai primi due punti possono essere raggruppate e sono strettamente connesse al fatto che in un sistema complesso, come quello aggregato, è sempre presente informazione mancante derivante dall’entropia prodotta che comporta variazioni degli stati accessibili al sistema. Questa informazione mancante è causa d’incertezza e, in particolar modo, dell’indeterminazione nelle scelte da parte degli operatori economici. L’evoluzione dell’entropia economica è, poi, strettamente connessa all’evoluzione temporale perché, come vedremo, ogni scelta economica è irreversibile, e comporta sempre una variazione di entropia.
Il principio di massima entropia, che afferma che ogni sistema isolato massimizza sempre la propria entropia, difatti, fissa il verso dell’asse dei tempi perché, se l’entropia aumenta sempre, si ha sempre una corrispondente perdita d’informazione e l’informazione viaggia sempre dal passato verso il futuro, mai al contrario. Non solo, ma la mole d’informazione mancante dipende dal tempo in cui essa si produce, essendo una grandezza estensiva.
Per quanto attiene il terzo punto, la critica più forte fu, per la prima volta, formulata dall’economista italiano Piero Sraffa, il quale osservò che il capitale essendo costituito da un insieme eterogeneo di merci prodotte dallo stesso sistema produttivo non può essere definito in termini di valore, prescindendo del tutto dai prezzi monetari. Tale critica si ritrova espressa nel modello di economia dinamica, che fa riferimento al principio di massima entropia, e si dimostra che il capitale dipende dall’evoluzione del sistema economico stesso. Per di più, esso produce effetti differenti sui sistemi economici in base al loro modo di evolversi; in particolare, in base al modo in cui evolvono i prezzi. È, quindi, una grandezza di scambio del sistema economico ed è soggetta alla stessa dinamica degli scambi. Lo stesso potrebbe dirsi per il lavoro, se non fosse che quest’ultimo è il prodotto di un sottosistema vincolato da una contrattazione preventiva all’attuazione degli scambi: le contrattazioni unitarie di categoria.
Per quanto attiene all’ultimo punto, si vedrà che la moneta, lungi dall’essere una semplice merce rappresentativa, è, invece, il parametro decisivo che è in grado di regolare efficacemente un sistema economico ed è, persino, in grado di contrastare efficacemente le variazioni di entropia economica. In altri termini, essa è in grado di sopperire all’informazione mancante e contrastare l’incertezza, restituendo fiducia agli operatori. Va però modulata opportunamente e sotto opportune condizioni, perché può tramutarsi da soluzione dei problemi a problema stesso.
Se ora qualcuno va affermando che c’è un qualche miglioramento attribuibile alle politiche economiche messe in atto, occorre che si sappia che, in realtà, in questo momento, dietro a tutto ciò c’è un certo signor Draghi che sta pompando moneta a pioggia dalla BCE, tramite il Quantitative Easing, al ritmo di 60 miliardi di euro al mese. Se questo quantitativo di moneta fosse indirizzato nella maniera corretta, come indicato nel modello di economia dinamica, gli effetti sull’economia potrebbero essere ben più appariscenti e positivi. Rimane da vedere, infatti, se questa massa di moneta emessa produrrà un effettivo miglioramento degli scambi o si tradurrà, invece, in attività meramente speculative.
La sintesi conclusiva di queste considerazioni è che, per un sistema aggregato, venendo meno le ipotesi della modellazione mainstream, non è possibile definire una funzione di produzione univoca e, tantomeno, riferirsi a grandezze da essa derivabili, come, ad esempio, la produttività del capitale e del lavoro. Conseguenza di ciò è che non è possibile definire un livello di produzione naturale associato alle dotazioni del sistema, né un livello dei prezzi reale che si ottiene in condizioni di equilibrio. Al contrario, le dotazioni del sistema, da cui la produzione dovrebbe dipendere, sono l’effetto stesso della produzione e ciò vale oltre che per il capitale, anche per il lavoro e per la tecnologia impiegata perché, venendo meno le capacità produttive, vengono meno anche le professionalità e le tecnologie di cui ci si può giovare nella produzione.
In un sistema complesso, come quello macroeconomico, dominato dal caos, altri sono i fattori decisivi: incertezza, preferenza per la liquidità e fiducia degli operatori. Tutte queste sono grandezze considerate, dalla visione economica dominante, come fattori irrazionali perché, si ritiene, non possono essere inclusi all’interno di un modello matematico in grado di fornire delle previsioni e delle misure. Questi fattori possono essere manipolati, semplicemente, agendo sui mass media.

Tutti questi fattori, invece, nel modello di economia dinamica, sono perfettamente includibili tramite una modellazione matematica che s’ispira al più potente apparato modellistico mai concepito, quello di discipline scientifiche ed esatte come la meccanica statistica e quantistica, la teoria dell’informazione e la termodinamica.
Mentre la visione economica dominante dell’equilibrio macroeconomico generale è una dottrina deterministica, il modello di economia dinamica è di natura prettamente probabilistica e accetta la presenza di indeterminazione nel sistema. Inoltre tratta un tipo di probabilità particolare, quella associata al buon senso.

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