È agevole rendersi conto che un’informazione completa è un requisito essenziale per possedere un reddito e che tanto più completa è questa informazione, tanto maggiore è il reddito conseguibile. Ciò vale anche all’inverso: meno completa è l’informazione posseduta, tanto minore è il livello di reddito ottenibile.
Sebbene le relazioni matematiche non siano gradite a tutti, di seguito se ne discute sinteticamente una molto istruttiva. La relativa formula è molto semplice, coinvolge solo l’operazione prodotto ed è la seguente:
u = N·m·R
In questa formula, ottenuta nell’ambito del modello di economia dinamica, i simboli e le grandezze economiche che intervengono, sono relative a un sottoinsieme, o sottosistema, della popolazione complessiva, le cui unità che vi appartengono hanno un comportamento uniforme, quindi omogeneo. A primo membro, u è il reddito medio posseduto dalle unità del sottosistema che, essendo omogeneo, sono caratterizzate da parametri univoci per tutte le unità, cioè, una uguale velocità degli scambi N, una certa emissione monetaria unitaria m, una dato rendimento R (o efficienza) nella gestione dell’informazione e una definita preferenza per la liquidità. Il parametro R è chiamato rendimento in quanto rappresenta un numero sempre inferiore all’unità; solo quando esso è prossimo ad uno, indica una efficienza ottimale nella gestione dell’informazione e permette di ottimizzare in ogni scambio l’acquisizione di moneta.
La velocità degli scambi N rappresenta il numero di scambi che le unità del sottosistema omogeneo compiono in un dato periodo di riferimento entro il quale si conteggia il reddito (un mese, un anno…). Questo parametro è fortemente condizionato dal tipo di attività che svolgono le unità. L’emissione monetaria unitaria m è la quantità di moneta legale di cui ciascuna singola unità costituente il sottosistema può, in media, disporre e che, al più, può rendersi disponibile per ogni singolo scambio. Essa può derivare da uno o più canali monetari, ad esempio emissione di moneta dalla banca centrale, prestiti da parte delle banche, esportazioni, spesa pubblica, redditi derivanti da contrattazione e ogni altra forma di acquisizione monetaria (conseguente anche ad attività non lecite). Se la velocità degli scambi è alta, l’emissione monetaria unitaria tende a essere piccola. Al contrario, una bassa velocità degli scambi, richiede che l’emissione monetaria sia più grande, perché questa va anche messa in relazione con la preferenza per la liquidità.
La preferenza per la liquidità è un parametro tipico del sottosistema omogeneo considerato che non è esplicitamente presente nella relazione sopra indicata, ma che ha comunque un ruolo importante sul valore del rendimento R. Essa indica quanta moneta, in ciascuno scambio, le unità vogliono risparmiare o guadagnare in più. Tanto più grande è la preferenza per la liquidità, tanto meno intensa è l’attività economica e viceversa. Una preferenza per la liquidità elevata è sempre associata ad una corrispondente incertezza, a una mancanza di fiducia nell’economia, derivante da una scarsità di prospettive nel futuro nel poter ottenere un reddito e, quindi, una bassa velocità degli scambi, che limita le aspettative di reddito, porta sempre a un suo aumento. Essa è anche responsabile di conflittualità negli scambi, che è tanto più aspra quanto più la preferenza per la liquidità è grande. In tal modo, un aumento di preferenza per la liquidità contrasta il raggiungimento dell’equilibrio tra domanda e offerta e, al suo aumentare, non solo aumenta la conflittualità ma aumentano anche gli azzardi morali e i comportamenti illeciti.
Per capirne meglio il significato, occorre considerare che la preferenza per la liquidità è quel “quanto di scambio” monetario di cui le unità del sistema hanno bisogno per allontanarsi dallo “stato di necessità”. A seconda della percezione delle unità, lo stato di necessità si tiene lontano, non con un solo quanto di scambio, ma con il maggior numero possibile di quanti di scambio, allo stesso modo di come ciascuno di noi si premura di avere disponibile quanta più acqua è possibile, per prevenire, con il più ampio margine conseguibile, la propria morte per sete, che possa verificarsi anche in un futuro non necessariamente prossimo, tenendo anche conto dell’eventuale difficoltà o meno nel raggiungere tempestivamente una sorgente. Non è un caso, infatti, che, in condizioni prossime allo stato di necessità, la preferenza per la liquidità possa anche definirsi come “sete di liquidità”.
Si giunge così a discutere di R, rendimento o efficienza richiesta alla gestione dell’informazione. Essa indica il livello di capacità di gestione dell’informazione all’interno del sottosistema considerato, che adesso possiamo ben identificare con una data classe sociale o una certa categoria economica. Sia chiaro che l’informazione, cui qui si fa riferimento, riguarda esclusivamente il movimento dei flussi monetari e non va confusa con altri tipi di informazione riguardanti aspetti culturali, sociali, etici, politici, scientifici e via dicendo. In particolare, questa grandezza rappresenta il livello di complessità dell’attività economica all’interno del sottosistema considerato e rappresenta il numero di tutti i possibili microstati che caratterizzano la configurazione del sistema dal punto di vista dei flussi monetari che lo interessano. Rappresenta, quindi, il livello di entropia dell'informazione riguardante i flussi monetari, caratterizzante il sottosistema, che le unità devono essere in condizione di poter gestire. Si può dimostrare che il parametro R è una funzione che dipende sia dall’emissione monetaria unitaria m, che dalla preferenza per la liquidità, e, perciò, anche dall’intensità dell’attività economica. Una elevata capacità di gestione dell’informazione è tipica di sottosistemi economici con una grande velocità degli scambi N (ad esempio banche od operatori finanziari) e che possiedono una emissione monetaria unitaria m molto bassa e una corrispondente attività economica molto intensa, dato che operano su grandi flussi monetari.
Sottosistemi economici omogenei, con un’alta velocità degli scambi e un’emissione monetaria molto bassa, hanno una capacità di gestire l’informazione che risulta ben poco influenzata dall’emissione monetaria. Viceversa sistemi caratterizzati da una bassa velocità degli scambi e da una emissione monetaria che influenza significativamente il livello di reddito e la preferenza per la liquidità, hanno una efficienza nella gestione dell’informazione che risente moltissimo delle riduzioni di emissione monetaria. Come a dire che, per questi sistemi, tipici dell’economia reale, i flussi monetari, che danno luogo all’emissione monetaria presente nel sistema (moneta circolante), rappresentano informazione essi stessi e completano l’informazione utile per la conduzione dell’attività economica.
Così, mentre per i sottosistemi dell’economia finanziaria la moneta appare essere del tutto neutrale, per i sottosistemi dell’economia reale la moneta, lungi dall’essere neutrale, è invece altamente selettiva.
La relazione sopra presentata, indica che il reddito medio è il prodotto della velocità degli scambi, dell’emissione monetaria unitaria e della capacità di gestione dell’informazione.
Tramite essa è possibile vedere che politiche monetarie restrittive, intese a contenere l’emissione monetaria unitaria m, con lo scopo di aumentare la competitività nel commercio internazionale, influenzano in maniera meno significativa i sottosistemi economici che hanno una elevata velocità degli scambi, una elevata capacità di gestione dell’informazione sui flussi monetari, e una emissione monetaria molto contenuta. Questi sottosistemi sono, in sostanza, i sistemi di natura finanziaria la cui capacità di gestire l’informazione non è praticamente intaccata da una riduzione dell’emissione monetaria. Difatti, essi sono sempre in grado di osservare i movimenti dei flussi monetari con efficienza e tempestività.
L’attuazione di politiche monetarie restrittive, volte a contenere l’emissione monetaria m, invece, incide significativamente sui livelli di reddito dei sottosistemi economici con una bassa velocità degli scambi e una scarsa capacità di gestione dell’informazione sui flussi monetari. Incide, quindi, maggiormente su lavoratori, artigiani, professionisti e su piccoli e medi imprenditori dell’economia reale. Questi sottosistemi, al ridursi dell’emissione monetaria, risentono di una crescita sia dell’incertezza, sia della preferenza per la liquidità, e ciò porta alla riduzione di consumi e investimenti. In tal modo, subiscono una forte penalizzazione nella loro capacità di gestire l’informazione, che prevalentemente dipende dall’osservazione dei flussi monetari conseguenti alla loro attività e rilevano soltanto che, adesso, si stanno contraendo o, addirittura, si stanno avvicinando o stanno lambendo lo stato di necessità.
In genere, le politiche monetarie restrittive trovano il loro campo di applicazione nelle cosiddette svalutazioni interne, volte a ridurre il livello dei prezzi esposto sul settore estero, con lo scopo di recuperare competitività. Tale modalità è alternativa alle svalutazioni monetarie che, invece, portano alla riduzione del livello dei prezzi semplicemente grazie a una svalutazione del cambio della valuta domestica rispetto alle altre valute. La svalutazione interna mantiene, così, immutato il cambio, e lo fa con il preciso scopo di non incidere sul capitale finanziario, sia domestico che estero. Incide, invece, sui redditi dell’economia reale.
Il recupero della competitività mediante svalutazione interna è, poi, obbligato quando si verifica uno shock asimmetrico, cioè uno squilibrio commerciale tra sistemi paese le cui valute non possono fluttuare l’una rispetto all’altra. In questo caso, gli accordi bi- o multilaterali vietano ogni possibile svalutazione monetaria o fluttuazione valutaria. Così, il paese in deficit commerciale registra un forte squilibrio, oltre che sulla bilancia commerciale (in conto corrente), anche dal punto di vista finanziario, dal momento che, per mantenere invariato il tasso di cambio, secondo le attuali regole dell’IMF che si riconducono al bilanciamento tra domanda e offerta di moneta, un paese con un conto corrente negativo (deficit commerciale) deve compensare questo con un conto finanziario positivo o, cosa che avviene solo eccezionalmente, con la cessione di riserve ufficiali da parte della propria Banca Centrale. In genere, quindi, deve obbligatoriamente favorire l’arrivo di capitali finanziari provenienti dall’estero. I grandi capitali finanziari esteri sono invogliati ad arrivare per l’assenza del rischio di cambio e perché, come visto, risentono poco degli effetti di una svalutazione interna, se è grande la loro efficienza nella gestione dell’informazione. Perché ciò possa accadere, ogni aspetto della vita del sistema paese in deficit commerciale diventa qualcosa da tenere sotto controllo in modo tempestivo ed esteso a tutti i settori, attraverso l’impiego di sistemi informatici potenti e software efficienti.
In passato, prima dello sviluppo tumultuoso dei computer, la capacità di gestire l’informazione era piuttosto limitata e, così, era anche limitata la possibilità di gestire capitali finanziari troppo grandi. Infatti, quando l’informazione da gestire era troppa, o troppo caotica, il rischio di una crisi finanziaria scoraggiava il movimento di capitali finanziari troppo ampi. In questa fase il ruolo degli Stati sovrani e delle loro banche centrali rimaneva preponderante e le compensazioni coinvolgevano prevalentemente l’impiego di valute sovrane o l’applicazione di svalutazioni monetarie e fluttuazioni valutarie.
Lo sviluppo dell’era digitale e il progressivo aumento della capacità di gestire le informazioni da parte di chi possiede grandi capitali, hanno anche innalzato di pari passo la capacità di tenere sotto controllo squilibri via, via sempre più grandi, sia di natura interna, conseguenti a svalutazioni interne preventive volte a ottenere un vantaggio competitivo, sia di natura esterna, conseguenti a svalutazioni interne volte al ripristino della competitività nel commercio internazionale. Si può persino affermare che l’attuale sviluppo digitale e i grandi investimenti in essere, in tale direzione, derivino proprio dalla volontà di sostenere e mantenere in vita squilibri di entità sempre più consistente, che coinvolgono capitali finanziari sempre più estesi. Persino eventi molto critici come la crisi finanziaria del 2008, negli USA, non hanno fatto altro che far accelerare ancora di più questa tendenza all’informatizzazione estrema di tutto, nel tentativo di riuscire a dominare in modo sempre più efficiente una quantità di informazione via, via, sempre più grande.
È a questo punto evidente che il ruolo degli Stati Nazionali tende a divenire sempre più marginale, in favore dell’azione esercitata dai grandi capitali sui mercati finanziari che, attraverso il finanziamento del fabbisogno pubblico, sono sempre più in grado di orientare le scelte degli Stati e dei loro governi. Ma in questo modo viene meno l’azione proprio di questi organismi sovrani, che sono i soli in grado di intervenire per attenuare gli squilibri mediante appropriate politiche di riequilibrio, che però richiederebbero un’ampia autonomia decisionale. Il risultato è che gli squilibri si acuiscono ulteriormente.
Sorge a questo punto una domanda: fino a che punto lo sviluppo dei computer sarà in grado di reggere e gestire tutta l’informazione derivante da squilibri crescenti?
Va considerato, infatti, che l’informazione da gestire, per la stessa struttura matematica dell’entropia dell’informazione, cresce esponenzialmente con il crescere degli squilibri. Sicché, se non si inverte questa tendenza o, quantomeno, si attuano gli opportuni correttivi, può dirsi che è tutt’altro che lontano il rischio che possa giungere quella condizione critica in grado di innescare una crisi finanziaria di dimensioni finora mai viste, perché associata a squilibri di dimensioni mai raggiunte prima, permessi da una efficacia nella gestione dell’informazione che impiega strumenti potenti, ma che non potranno mai essere così tanto potenti da riuscire a dominare anche le crescite esponenziali incontrollate.
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