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mercoledì 9 dicembre 2015

Entropia e incertezza



Oggettività dell’entropia e soggettività dell’incertezza

L’incertezza, almeno per una certa corrente di pensiero economico, è vista come qualcosa di oscuro e incomprensibile ed è relegata a essere solo un sentimento irrazionale di individui che non vogliono o non sono capaci di applicare un principio di razionalità sostanziale. Secondo questo principio, se tutte le scelte fossero compiute da persone razionali che operano scegliendo, ciascuno, quel che è meglio per se stessi, potrebbe ottenersi, per tutti, una configurazione ottimale o, più precisamente, Pareto – ottimale.
È fuori di dubbio che una visione di questo tipo vada benissimo in campo microeconomico, cioè nel caso della gestione di un’azienda. Ed è certamente secondo una visione di questo tipo che va formato un dirigente d’azienda. Non rassicurerebbe nessuno, neanche i sottoposti, il vedere che un dirigente d’azienda si mostra incerto e indeciso sul da farsi. Perciò, la visione che rifiuta l’esistenza dell’incertezza come parametro economico, è perfettamente lecita in campo microeconomico.

Tuttavia, nel nostro contesto, stiamo affrontando la macroeconomia, non la microeconomia, e si tratta di un campo di analisi del tutto diverso, sia come oggetto di analisi, sia come scopi dell’analisi. Nel caso macroeconomico, cioè l’analisi del comportamento aggregato di lavoratori, imprese, banche e intermediari finanziari, entrano in gioco fattori caotici e il sistema complessivo, che ne risulta, deve essere trattato come un sistema complesso, con mezzi e strumenti adeguati a questa tipologia di analisi; mezzi e strumenti di questo tipo sono ormai in uso, in campo scientifico, da oltre un secolo. Gli scopi dell’analisi sono, poi, del tutto diversi perché un sistema aggregato, come ad esempio una Nazione, non va gestito, come può esserlo per un’azienda, ricercando solo un unico obiettivo (ad esempio il pareggio di un bilancio), ma, anche qui, gli scopi e gli obiettivi sono molteplici e anch’essi possono interagire tra loro in maniera caotica e disordinata. Non ha neanche senso affermare che se non si raggiunge l’obiettivo di un bilancio in pareggio, allora tutto il resto deve andare in subordine perché, altrimenti, chi afferma ciò dimostra, oltre che cinismo e mancanza di sensibilità, di misconoscere fatti storici conseguenti proprio a tale tipo di atteggiamento.
In campo scientifico, una grandezza in grado di predire come evolvono i fenomeni caotici esiste già da tempo ed è stata formalizzata, per la prima volta, dal fisico teorico Ludwig Bolztmann, padre, anche, della meccanica statistica; è l’entropia. Quando Boltzmann presentò i risultati del suo sforzo intellettuale, fu etichettato con l’epiteto di “terrorista algebrico” perché la sua teoria non poteva essere spiegata che matematicamente, tramite strumenti matematici che facevano ricorso al concetto di probabilità, ed essa andava cozzare pesantemente con l’armoniosa ed elegante concezione della fisica newtoniana e lagrangiana, di natura prettamente deterministica.
Anche in campo economico, il modello di economia dinamica mostra che una grandezza del tutto simile esiste ed è denominata entropia economica. Ha una struttura formale del tutto identica all’entropia di Boltzmann, che misura, in scala logaritmica, il numero di microstati che danno luogo a una stessa configurazione macro, cioè identifica il suo grado di disordine. Misura, però, anche la probabilità che una data configurazione macro possa essere raggiunta, perché maggiore è il numero di microstati costituenti il macrostato, maggiore è la probabilità che la configurazione abbia luogo. L’entropia economica, ha anche la stessa struttura formale dell’entropia dell’informazione (Shannon) e rappresenta, perciò, anche l’informazione richiesta dal sistema economico.
Ne consegue che quanto più disordinata è una data configurazione macroeconomica, non solo, tanto più informazione serve per conoscerla, ma anche tanto più probabile è che essa avvenga.
L’entropia economica tende sempre a massimizzarsi perché le configurazioni più probabili sono anche quelle con maggiore entropia. Essa, però, non si massimizza istantaneamente perché occorre del tempo affinché l’informazione si distribuisca. Non solo, ma se un sistema è perturbato a seguito di uno shock esogeno persistente (come ad esempio uno squilibrio commerciale) l’entropia non si massimizza se non con un ritardo progressivo.
Alla fine, però, l’evoluzione, in greco, έντροπη (entropia) sarà quella, in corrispondenza della quale, l’entropia è massima. È allora logico riferirsi a un principio di massima entropia.
Questo principio è molto diverso dal principio di razionalità sostanziale e sottende che un sistema economico, non regolato da alcun meccanismo che ne renda stabile l’evoluzione, è sempre destinato a massimizzare l’entropia e produrre disordine.
Il concetto di entropia economica deriva, in realtà, dalla generalizzazione del concetto di entropia, esteso a osservabili diversi dalla sola energia e dai segnali informativi, tipici, rispettivamente, dell’entropia termodinamica e di quella dell’informazione. Questa generalizzazione è, poi, applicata al caso particolare delle grandezze economiche. Si badi, ora, che l’entropia economica ha validità finché gli osservabili sono coerenti al sistema, cioè fin quando le grandezze economiche sono in grado di descrivere compiutamente il sistema. Sicché, quando in un sistema economico l’entropia si abbassa parecchio, ciò non vuol dire che quel sistema è meno disordinato; vuol dire che esistono altri osservabili che possono descriverlo meglio e che non siamo in condizioni di osservare. Se un sistema non può aumentare la propria entropia economica, perché i suoi parametri macroeconomici non lo consentono, l’entropia, cioè il disordine, si trasferisce altrove, ad esempio, in campo sociale.
Il principio di massima entropia sottende anche il fatto che in un sistema economico è sempre presente informazione mancante o inutilizzabile, e questo fatto è responsabile della presenza di un’indeterminazione intrinseca nei sistemi economici che produce incertezza.
L’incertezza, a differenza dell’entropia che è possibile definire in maniera oggettiva, è percepita soggettivamente in modo molto diverso da individuo a individuo, ma questo non inficia nulla. È la stessa cosa, in campo fisico della temperatura, le molecole di un gas possiedono velocità molto diverse ma il loro effetto macro è, comunque, un valore univoco della temperatura. L’incertezza opera come la temperatura, è percepita in modo molto diverso dai soggetti, ma essa è presente e dipende dal modo in cui le configurazioni economiche possono presentarsi, se esse sono del tutto nuove, mai raggiunte prima, o, invece, non sono più raggiungibili.
Può persino accadere che l’incertezza sia percepita, inizialmente, in modo euforico; e ciò accade quando sono ancora poche le unità che raggiungono una determinata configurazione. Se, però, gli stati accessibili sono occupati da un numero sempre maggiore di unità, determinati microstati sgraditi non possono più essere evitati con facilità. Aumentando il numero di unità che accedono alla nuova configurazione, aumenta il numero degli stati sgraditi inevitabili; è il caso, ad esempio, delle posizioni creditizie non più esigibili. Questo accade quando l’entropia economica tende ad aumentare. Se l’entropia economica invece si riduce, cresce lo spettro dello stato di necessità e le unità, per evitarlo tendono ad assumere comportamenti che si allontanano sempre di più dalle regole e dalle norme consolidate, producendo disordini di altra natura.
Dal punto di vista del principio di massima entropia, il comportamento del sistema economico va controllato evitando che possano prodursi eccessivi gap entropici tra sistemi economici e al loro interno. Per far ciò, occorre ricorrere a criteri cooperativi in grado di smorzare gli effetti dell’accrescersi continuo dell’entropia. I sistemi economici, da questo punto di vista, possono diventare dei cavalli imbizzarriti e molto pericolosi. Essi vanno domati, addomesticati e, così, possono diventare utili.
Non è un caso che questa visione dell’economia coincida con quella di Keynes, perché questi, con la sua superba sensibilità, aveva intuito il ruolo dell’incertezza, anche se, per via degli strumenti in suo possesso, non aveva la possibilità di cogliere il ruolo di quella grandezza che stiamo chiamando entropia economica. Egli affermava solo che l’incertezza è associata al non sapere. E, infatti, quando le configurazioni economiche variano a seguito delle variazioni di entropia, su esse non può dirsi nulla ed è presente informazione mancante.

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