Un incerto recupero di competitività d’altri tempi
Il modello di
economia dinamica, partendo da una distribuzione dei redditi, permette di
individuare, all’interno di un sistema
economico globale, i sottosistemi
costituenti. Ciascuno di questi è caratterizzato da una preferenza per la liquidità, una velocità degli scambi e un’emissione monetaria unitaria. Questi parametri, a loro volta, permettono di
determinare la distribuzione dei redditi, che ha la massima probabilità di verificarsi, in ciascun sottosistema omogeneo.
Sulla scorta dei dati sulla distribuzione del reddito
del 2008, pubblicati, all’epoca, dalla Banca d’Italia, e sulla base dei decili
della distribuzione del reddito del 2012, pubblicati sempre dalla Banca
d’Italia, si è costruita un’interpolazione
della distribuzione dei redditi sia
per l’intero sistema economico italiano, sia per i sottosistemi omogenei da cui è composto. L’analisi è certamente un
po’ grossolana e non può considerarsi molto precisa, tuttavia fornisce utili
indicazioni.
Figura 1 |
Nella figura 1,
la suddetta analisi riporta l’evoluzione della distribuzione del reddito in
Italia tra il 2008 e il 2012. L’interpolazione è eseguita, per semplicità, in
modo lineare, cioè non tiene conto
della discontinuità nell’evoluzione dei redditi conseguente alla crisi dell’Eurozona del 2011. Nonostante
le limitazioni dell’analisi, che si spinge solo fino a redditi medio - alti e
prende in considerazione un numero ridotto di sottosistemi, è ben evidente che,
nel periodo considerato, il reddito medio
si è ridotto principalmente per i soli sottosistemi che già possedevano
redditi più bassi, mentre i sottosistemi con reddito più alto hanno mantenuto
inalterate le proprie posizioni. Infatti, per i sottosistemi interessati dalla
contrazione, si osserva che le curve di distribuzione
del reddito diventano più alte e strette e si spostano leggermente verso
sinistra.
I sottosistemi interessati dalla contrazione, in base
alla loro velocità di circolazione,
sono principalmente lavoratori, professionisti, piccole e medie imprese. In
sostanza, il grosso del sistema produttivo che costituisce anche l’insieme dei consumatori. Si noti come il
sottosistema 3 tenda a contrarsi a favore del sottosistema 2. Oltre al fatto
che il modello è in grado di identificare cosa accade ai diversi sottosistemi,
è importante comprendere perché ciò è
avvenuto.
Dal grafico di figura
2, che riporta il PIL italiano pro
capite in dollari USA, è evidente che nel 2008 si risente della crisi finanziaria USA, mentre nel 2011 e
2012, la caduta del reddito è conseguente alla crisi dell’Eurozona.
Figura 2: PIL pro capite Italia - fonte Banca Mondiale grafico Google |
Mentre il primo calo del 2008 è imputabile all’arresto
dei finanziamenti provenienti dall’estero, il calo del 2011 e 2012 è da
attribuire a una svalutazione interna.
In sostanza, una svalutazione
interna è un’azione di politica economica volta a ristabilire la
competitività di Paesi che si trovano in deficit di liquidità verso l’estero, a causa di uno squilibrio commerciale, senza intervenire sul valore della moneta ma attuando una politica monetaria restrittiva – detta di austerity – mediante sottrazione di moneta circolante, quindi, con riduzione
dei redditi, con lo scopo di far abbassare il livello dei prezzi e restituire competitività
al Paese.
Tale tipo di azione differisce sostanzialmente da un
altro tipo di politica, che è possibile attuare quando i cambi sono fluttuanti e che consiste nella cosiddetta svalutazione monetaria. Questa comporta
la perdita di valore della moneta
che, deprezzandosi rispetto alla
valuta concorrente, ristabilisce in breve
tempo, a meno di un transitorio, detto overshooting,
l’equilibrio commerciale. Il
deprezzamento della moneta comporta, infatti, un’esposizione dei prezzi
all’estero più bassi. Tale azione, di tipo esclusivamente monetario, agisce in maniera uniforme
sul sistema economico globale del Paese che svaluta e non produce squilibri interni
tra i vari sottosistemi.
Si nota, invece, che la svalutazione interna effettuata tramite la contrazione di moneta circolante e che si attua
mediante una drastica contrazione della
Spesa Pubblica, produce all’interno del sistema economico globale squilibri interni tra i vari sottosistemi. La riduzione del Debito Pubblico è l’alibi perfetto per
attuare una manovra di questo tipo. Rispetto alle svalutazioni monetarie, le svalutazioni
interne sono molto più dolorose, sia perché creano squilibri interni, sia perché la
loro azione si prolunga molto nel tempo ed è incerto il loro effetto, che si sviluppa in un presunto lungo periodo.
La svalutazione
interna trova una giustificazione teorica nell’ambito del modello neoclassico dell’economia e si
riconduce, sostanzialmente, a un modello di riferimento ben preciso – il
modello AS-AD o Aggregate Suppy /
Aggregate Demand – che, a sua volta, discende dal modello di Hicks, detto
modello IS-LM o Investment Saving /
Liquidity Money; tutti modelli che si riconducono al concetto di equilibrio. In particolare, la dinamica
del modello AS-AD si suddivide in equilibrio a breve, medio e lungo periodo.
Nonostante l’apparente modernità e supposta scientificità
di tali modelli, la svalutazione interna
è una metodologia tutt’altro che nuova perché essa è il tipo di politica
standard di riequilibrio commerciale che si attuava già all’epoca del Gold Standard: il sistema aureo; quando
il valore delle monete era ancorato rigidamente alle riserve auree detenute da ciascuna Nazione. Non solo, ma questo
tipo di politica era in uso pure prima del Gold
Standard, quando vigeva lo standard
bimetallico, quello per cui il valore della moneta era agganciato al valore
dell’argento e dell’oro; per
intenderci, ai tempi della Rivoluzione Francese. Secondo alcuni storici fuori
dalla vulgata [si veda: Pierre
Gaxotte, La rivoluzione francese], quest’ultima è stata la diretta conseguenza
dello squilibrio commerciale,
creatosi all’epoca tra la Gran Bretagna, nazione più sviluppata e
industrializzata, e la Francia, e della contrazione
monetaria che quest’ultimo Paese dovette subire per cercare di
riequilibrare lo squilibrio esterno, con conseguenti fortissimi squilibri interni.
Il Gold Standard
è stato anche il principale responsabile della Grande Depressione degli anni ’30, nel secolo scorso, che si
conclusero con lo scoppio del secondo conflitto mondiale. La rigidità monetaria
imposta rendeva, infatti, impossibile ogni politica monetaria autonoma, perché
ogni tentativo di espansione del circolante,
per dare linfa e vigore all’economia, mediante un ribasso dei tassi d’interesse, era frustrato dalla speculazione che sfruttava i differenziali dei tassi d’interesse, e
produceva forti deflussi di oro. Ciò,
in particolare, avvenne per l’Impero Britannico, la cui crisi finanziaria,
prodotta dalle speculazioni, anticipò di poco il manifestarsi della Grande Depressione e segnò il declino di quella che era stata, fino a quel momento, la più grande superpotenza
economica dell’epoca. I tentativi di riequilibrio commerciale mediante le svalutazioni interne divennero così
dolorosi, a causa degli squilibri prodotti e della rigidità delle politiche
monetarie, da rendere preferibile un’altra pratica: il protezionismo. Da questa pratica, allo scoppio del secondo conflitto
mondiale, il passo fu breve.
Per tale motivo, nel ’44, gli accordi di Bretton Woods stabilirono un nuovo ordine monetario mondiale che
evitasse i disastri prodotti dal Gold
Standard e dalle svalutazioni interne
da esso causate. Accordi che furono denunciati, unilateralmente, dagli USA nel
1971; cosa che iniziò a riportare, lentamente, indietro, nel tempo, le lancette
dell’orologio della storia.
È importante comprendere perché la riduzione dell’emissione di moneta
produce squilibri interni, sebbene,
apparentemente, questa riduzione investa tutto
il sistema economico. Il motivo di ciò, come indicato nel modello di economia dinamica, è che la moneta segue un percorso ben preciso,
passando da un sottosistema all’altro.
In questo passaggio, i primi sottosistemi a usufruire della moneta emessa, sono quelli che
possiedono un’elevata velocità di
circolazione e un fattore monetario
più alto. Nel passaggio da un sottosistema all’altro, secondo il verso
decrescente del fattore monetario, se
accade che qualche sottosistema ha un’alta preferenza per la liquidità, il percorso s’inceppa e la moneta non giunge più, come dovrebbe, negli altri sottosistemi. Non solo,
ma là dove la moneta s’inceppa, la preferenza
per la liquidità attiva il movente
speculativo verso attività più sicure. E quali attività più sicure ci sono
più dei titoli del Debito Pubblico?
Nessuna. Parte, quindi, la speculazione sul Debito
Pubblico; all’epoca del Gold Standard,
sull’oro.
L’azione della Spesa
Pubblica permette di scavalcare eventuali interruzioni nel percorso della moneta. Sicché, una contrazione
della Spesa Pubblica, che si rende
necessaria anche per fronteggiare la speculazione
sul Debito Pubblico, acuisce gli squilibri, prima da essa ricomposti, e colpisce
direttamente i sottosistemi che, senza tale apporto monetario, risentono dello squilibrio. Tale riduzione di emissione monetaria colpisce i
sottosistemi più fragili, mentre quelli più solidi hanno la possibilità,
comunque, di trattenere liquidità, svolgendo
attività speculativa.
Contrariamente, a quello che la dottrina economica
attuale sostiene, la moneta è tutt’altro
che neutrale perché, per il suo modo di trasferirsi e diffondersi nel
sistema economico, essa tende a privilegiare quei sottosistemi che hanno un’informazione
più completa del sistema economico. Informazione che gli deriva,
soprattutto, dall’elevata velocità di
circolazione, che permette l’osservazione continua dei flussi monetari; la vera fonte dell’informazione economica.
Può, quindi, dirsi che una svalutazione interna è un’azione volta a sanare uno squilibrio esterno creando, però, squilibri interni che, nel tempo,
tendono a divenire insostenibili.
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