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mercoledì 6 gennaio 2016

La svalutazione interna



Un incerto recupero di competitività d’altri tempi

Il modello di economia dinamica, partendo da una distribuzione dei redditi, permette di individuare, all’interno di un sistema economico globale, i sottosistemi costituenti. Ciascuno di questi è caratterizzato da una preferenza per la liquidità, una velocità degli scambi e un’emissione monetaria unitaria. Questi parametri, a loro volta, permettono di determinare la distribuzione dei redditi, che ha la massima probabilità di verificarsi, in ciascun sottosistema omogeneo.
Sulla scorta dei dati sulla distribuzione del reddito del 2008, pubblicati, all’epoca, dalla Banca d’Italia, e sulla base dei decili della distribuzione del reddito del 2012, pubblicati sempre dalla Banca d’Italia, si è costruita un’interpolazione della distribuzione dei redditi sia per l’intero sistema economico italiano, sia per i sottosistemi omogenei da cui è composto. L’analisi è certamente un po’ grossolana e non può considerarsi molto precisa, tuttavia fornisce utili indicazioni.

L'analisi della distribuzione del reddito italiano tra il 2008 e il 2012 e dei sottosistemi che lo costituiscono evidenzia che la svalutazione interna produce squilibri tra sottosistemi
Figura 1
 Nella figura 1, la suddetta analisi riporta l’evoluzione della distribuzione del reddito in Italia tra il 2008 e il 2012. L’interpolazione è eseguita, per semplicità, in modo lineare, cioè non tiene conto della discontinuità nell’evoluzione dei redditi conseguente alla crisi dell’Eurozona del 2011. Nonostante le limitazioni dell’analisi, che si spinge solo fino a redditi medio - alti e prende in considerazione un numero ridotto di sottosistemi, è ben evidente che, nel periodo considerato, il reddito medio si è ridotto principalmente per i soli sottosistemi che già possedevano redditi più bassi, mentre i sottosistemi con reddito più alto hanno mantenuto inalterate le proprie posizioni. Infatti, per i sottosistemi interessati dalla contrazione, si osserva che le curve di distribuzione del reddito diventano più alte e strette e si spostano leggermente verso sinistra.
I sottosistemi interessati dalla contrazione, in base alla loro velocità di circolazione, sono principalmente lavoratori, professionisti, piccole e medie imprese. In sostanza, il grosso del sistema produttivo che costituisce anche l’insieme dei consumatori. Si noti come il sottosistema 3 tenda a contrarsi a favore del sottosistema 2. Oltre al fatto che il modello è in grado di identificare cosa accade ai diversi sottosistemi, è importante comprendere perché ciò è avvenuto.
Dal grafico di figura 2, che riporta il PIL italiano pro capite in dollari USA, è evidente che nel 2008 si risente della crisi finanziaria USA, mentre nel 2011 e 2012, la caduta del reddito è conseguente alla crisi dell’Eurozona.
Prodotto Interno Lordo pro capite in Italia tra il 2008 e il 2012
Figura 2: PIL pro capite Italia  - fonte Banca Mondiale grafico Google
 Mentre il primo calo del 2008 è imputabile all’arresto dei finanziamenti provenienti dall’estero, il calo del 2011 e 2012 è da attribuire a una svalutazione interna.
In sostanza, una svalutazione interna è un’azione di politica economica volta a ristabilire la competitività di Paesi che si trovano in deficit di liquidità verso l’estero, a causa di uno squilibrio commerciale, senza intervenire sul valore della moneta ma attuando una politica monetaria restrittiva – detta di austerity – mediante sottrazione di moneta circolante, quindi, con riduzione dei redditi, con lo scopo di far abbassare il livello dei prezzi e restituire competitività al Paese.
Tale tipo di azione differisce sostanzialmente da un altro tipo di politica, che è possibile attuare quando i cambi sono fluttuanti e che consiste nella cosiddetta svalutazione monetaria. Questa comporta la perdita di valore della moneta che, deprezzandosi rispetto alla valuta concorrente, ristabilisce in breve tempo, a meno di un transitorio, detto overshooting, l’equilibrio commerciale. Il deprezzamento della moneta comporta, infatti, un’esposizione dei prezzi all’estero più bassi. Tale azione, di tipo esclusivamente monetario, agisce in maniera uniforme sul sistema economico globale del Paese che svaluta e non produce squilibri interni tra i vari sottosistemi.
Si nota, invece, che la svalutazione interna effettuata tramite la contrazione di moneta circolante e che si attua mediante una drastica contrazione della Spesa Pubblica, produce all’interno del sistema economico globale squilibri interni tra i vari sottosistemi. La riduzione del Debito Pubblico è l’alibi perfetto per attuare una manovra di questo tipo. Rispetto alle svalutazioni monetarie, le svalutazioni interne sono molto più dolorose, sia perché creano squilibri interni, sia perché la loro azione si prolunga molto nel tempo ed è incerto il loro effetto, che si sviluppa in un presunto lungo periodo.
La svalutazione interna trova una giustificazione teorica nell’ambito del modello neoclassico dell’economia e si riconduce, sostanzialmente, a un modello di riferimento ben preciso – il modello AS-AD o Aggregate Suppy / Aggregate Demand – che, a sua volta, discende dal modello di Hicks, detto modello IS-LM o Investment Saving / Liquidity Money; tutti modelli che si riconducono al concetto di equilibrio. In particolare, la dinamica del modello AS-AD si suddivide in equilibrio a breve, medio e lungo periodo.
Nonostante l’apparente modernità e supposta scientificità di tali modelli, la svalutazione interna è una metodologia tutt’altro che nuova perché essa è il tipo di politica standard di riequilibrio commerciale che si attuava già all’epoca del Gold Standard: il sistema aureo; quando il valore delle monete era ancorato rigidamente alle riserve auree detenute da ciascuna Nazione. Non solo, ma questo tipo di politica era in uso pure prima del Gold Standard, quando vigeva lo standard bimetallico, quello per cui il valore della moneta era agganciato al valore dell’argento e dell’oro; per intenderci, ai tempi della Rivoluzione Francese. Secondo alcuni storici fuori dalla vulgata [si veda: Pierre Gaxotte, La rivoluzione francese], quest’ultima è stata la diretta conseguenza dello squilibrio commerciale, creatosi all’epoca tra la Gran Bretagna, nazione più sviluppata e industrializzata, e la Francia, e della contrazione monetaria che quest’ultimo Paese dovette subire per cercare di riequilibrare lo squilibrio esterno, con conseguenti fortissimi squilibri interni.
Il Gold Standard è stato anche il principale responsabile della Grande Depressione degli anni ’30, nel secolo scorso, che si conclusero con lo scoppio del secondo conflitto mondiale. La rigidità monetaria imposta rendeva, infatti, impossibile ogni politica monetaria autonoma, perché ogni tentativo di espansione del circolante, per dare linfa e vigore all’economia, mediante un ribasso dei tassi d’interesse, era frustrato dalla speculazione che sfruttava i differenziali dei tassi d’interesse, e produceva forti deflussi di oro. Ciò, in particolare, avvenne per l’Impero Britannico, la cui crisi finanziaria, prodotta dalle speculazioni, anticipò di poco il manifestarsi della Grande Depressione e segnò il declino di quella che era stata, fino a quel momento, la più grande superpotenza economica dell’epoca. I tentativi di riequilibrio commerciale mediante le svalutazioni interne divennero così dolorosi, a causa degli squilibri prodotti e della rigidità delle politiche monetarie, da rendere preferibile un’altra pratica: il protezionismo. Da questa pratica, allo scoppio del secondo conflitto mondiale, il passo fu breve.
Per tale motivo, nel ’44, gli accordi di Bretton Woods stabilirono un nuovo ordine monetario mondiale che evitasse i disastri prodotti dal Gold Standard e dalle svalutazioni interne da esso causate. Accordi che furono denunciati, unilateralmente, dagli USA nel 1971; cosa che iniziò a riportare, lentamente, indietro, nel tempo, le lancette dell’orologio della storia.
È importante comprendere perché la riduzione dell’emissione di moneta produce squilibri interni, sebbene, apparentemente, questa riduzione investa tutto il sistema economico. Il motivo di ciò, come indicato nel modello di economia dinamica, è che la moneta segue un percorso ben preciso, passando da un sottosistema all’altro. In questo passaggio, i primi sottosistemi a usufruire della moneta emessa, sono quelli che possiedono un’elevata velocità di circolazione e un fattore monetario più alto. Nel passaggio da un sottosistema all’altro, secondo il verso decrescente del fattore monetario, se accade che qualche sottosistema ha un’alta preferenza per la liquidità, il percorso s’inceppa e la moneta non giunge più, come dovrebbe, negli altri sottosistemi. Non solo, ma là dove la moneta s’inceppa, la preferenza per la liquidità attiva il movente speculativo verso attività più sicure. E quali attività più sicure ci sono più dei titoli del Debito Pubblico? Nessuna. Parte, quindi, la speculazione sul Debito Pubblico; all’epoca del Gold Standard, sull’oro.
L’azione della Spesa Pubblica permette di scavalcare eventuali interruzioni nel percorso della moneta. Sicché, una contrazione della Spesa Pubblica, che si rende necessaria anche per fronteggiare la speculazione sul Debito Pubblico, acuisce gli squilibri, prima da essa ricomposti, e colpisce direttamente i sottosistemi che, senza tale apporto monetario, risentono dello squilibrio. Tale riduzione di emissione monetaria colpisce i sottosistemi più fragili, mentre quelli più solidi hanno la possibilità, comunque, di trattenere liquidità, svolgendo attività speculativa.
Contrariamente, a quello che la dottrina economica attuale sostiene, la moneta è tutt’altro che neutrale perché, per il suo modo di trasferirsi e diffondersi nel sistema economico, essa tende a privilegiare quei sottosistemi che hanno un’informazione più completa del sistema economico. Informazione che gli deriva, soprattutto, dall’elevata velocità di circolazione, che permette l’osservazione continua dei flussi monetari; la vera fonte dell’informazione economica.
Può, quindi, dirsi che una svalutazione interna è un’azione volta a sanare uno squilibrio esterno creando, però, squilibri interni che, nel tempo, tendono a divenire insostenibili.

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