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venerdì 29 ottobre 2021

Maltempo a Catania e provincia

 

In questa fine del mese di ottobre, il maltempo ha investito la città di Catania e la sua provincia arrecando gravissimi danni a cose e persone. Gli organi di stampa, giustamente, hanno profuso in grande quantità servizi giornalistici sulla calamità che ha colpito il catanese, in considerazione dell’entità dei danni registrati che hanno anche annoverato la perdita di vite umane.

Si ringrazia anche la protezione civile e i suoi sistemi di controllo del territorio, che grazie al sistema di allerta meteo, hanno permesso di evitare danni ancora peggiori facendo chiudere quei servizi pubblici la cui utenza, se mobilitata, poteva comportare danni e rischi molto più grandi di quelli che effettivamente si sono avuti. Tutto ciò è stato reso possibile grazie alla rapidità con cui i “sistemi informatici” possono far giungere ovunque le informazioni necessarie. C’è anche chi, con lo zelo dell’ecologista, ci informa che tutto ciò è una conseguenza dei cambiamenti climatici, che «causano ‘bombe d’acqua’ che, di questa intensità, non se ne erano mai viste prima» e ciò è spunto per riaffermare con maggiore forza la necessità di una “transizione ecologica”.

Queste affermazioni, che si ispirano a scopi e principi così tanto condivisibili da parte tutti, sono incontestabili. Tutti noi, sani di mente, abbiamo a cuore l’integrità della nostra casa comune, il pianeta Terra, e sicuramente hanno ragione coloro che annoverano l’ambiente tra le cose più preziose da proteggere e conservare. Chi lavora nel settore della meteorologia, poi, svolge un lavoro complesso, delicato e fondamentale, ancor più per i trasporti, specie quelli aerei e marittimi.

Eppure, chi è delle parti di Catania e provincia sa che c’è dell’altro che non è stato detto e che va anche al di là delle giuste considerazioni di natura ecologica, climatica e di protezione civile menzionate. C’è da dire che nessuno proferisce parola sui decenni di incuria e stato di abbandono in cui versa tutto il territorio catanese, specialmente dal punto di vista idrologico.

Qualcuno sbotterà: «ci risiamo, è sempre colpa delle amministrazioni locali che non hanno fatto il loro dovere». Non è del tutto vero! Come dicono i pescatori, «se il pesce puzza, puzza dalla parte della testa», e qui la testa sta in alto …

Qualcuno ora aggiungerà: «ora inizia lo scaricabarile del meridionale!». Può darsi che si tratti di uno scaricabarile, ma serve parlarne per mostrare anche un’altra realtà. Non si vuole mettere in ombra il sistema dell’allerta meteo che, sic rebus stantibus, ha funzionato molto bene e ha permesso di salvare il salvabile, ma si vuol mostrare che dietro al suo impiego si cela dell’altro.

È dal mese di febbraio che l’Etna ha incessantemente prodotto decine e decine di parossismi sul territorio della provincia di Catania. In ciascuno di questi parossismi, una quantità enorme di cenere vulcanica ha ricoperto tetti, strade e piazze, ha otturato condotte, tombini e fognature del territorio, oltre a costituire un pesante aggravio di costi per i privati e per le amministrazioni pubbliche. Alle richieste di aiuto lo Stato centrale ha fatto orecchio da mercante. Ciò è comprensibile, dato che ancora oggi ci troviamo in stato di pandemia da Covid-19 e ci sono anche altre cose a cui pensare. Così, i catanesi si sono stati tutti zitti e hanno incassato le batoste.

Questa disattenzione da parte dello Stato, che oggi appare giustificabile, non lo è affatto per tutto quello che è successo nei decenni precedenti. Da tempo non si fanno più interventi di manutenzione sulle opere di protezione idrogeologica del territorio catanese e, se va bene, i canali di scolo e le fognature delle acque bianche più nuove risalgono ad almeno una quarantina, trentina forse, di anni fa. Qualche rarissima eccezione non fa altro che confermare la regola. Tuttavia, in ogni caso, la manutenzione è stata ridotta all’osso, se non annullata del tutto e, in concomitanza, i parossismi dell’Etna non hanno mai smesso di esserci. Risultato finale: i canali di scolo e le fognature praticamente non esistono e, quando esistono, non funzionano affatto.

Nonostante le lamentele delle amministrazioni locali, nei confronti dell’amministrazione centrale, e i gravi rischi connessi a questa situazione da esse prospettati, i relativi progetti non sono partiti o addirittura non sono neanche stati avviati, per via delle continue riduzioni di bilancio delle amministrazioni locali. La situazione è, poi, peggiorata a causa degli ulteriori vincoli di bilancio legati al patto di stabilità, che hanno progressivamente ingessato del tutto gli appalti delle opere pubbliche. Il codice degli appalti ha poi fatto il resto, desertificando l’intero settore delle imprese appaltatrici.

Così, mentre negli altri Paesi sviluppati la realizzazione e il mantenimento di opere di protezione idrologica sono rimaste un obiettivo primario e garantito per non interrompere i servizi essenziali e permettere agli operatori economici di continuare la propria attività, anche in presenza di eventi meteorologici avversi, nel nostro Paese si è pensato bene di bypassare il problema utilizzando il sistema dell’allerta meteo. Questo sistema è utilizzato anche negli altri Paesi per far fronte a situazioni meteorologiche ben più gravi e allarmanti, ma in Italia sta diventando lo strumento utile a “mettere una toppa” all’inadeguato sistema di protezione idrologica. Quando lo si attua, In Italia, si interrompono indiscriminatamente tutti i servizi essenziali e le attività economiche, perché il rischio non è legato soltanto all’entità dell’evento meteo atteso. Infatti, il rischio deve anche tener conto dell’inadeguatezza del sistema di protezione idrologica, in quanto questo raggiunge, talvolta, livelli incompatibili con l’incolumità delle persone, anche se l’evento meteo atteso, in condizioni ordinarie, potrebbe essere tranquillamente assorbito dal territorio, se questo fosse dotato di un adeguato sistema di raccolta e convogliamento delle acque. Ciò non è vero solo nel territorio catanese, ma è una cosa ormai diffusa in gran parte del Paese.

Per come è utilizzato in Italia, il sistema dell’allerta meteo, almeno agli occhi dell’attuale classe dirigente, è funzionale a molte cose. In primis, agli occhi dell’opinione pubblica, permette di mostrare che l’autorità centrale si preoccupa della salute dei cittadini. Il motivo principale per cui lo si usa, però, nella maggior parte dei casi, è che esso permette di “evitare” i costi economici, ormai diventati ingentissimi, che occorrerebbero per mettere realmente in sicurezza il Paese, dal punto di vista idrologico.

 Il veri obiettivi, quindi, sono di natura puramente macroeconomica e vanno ricercati nell’ambito di quella strategia globale, che investe il Paese intero e che è volta a tentare di recuperare una competitività perduta a livello internazionale. Detta strategia consiste in una poderosa svalutazione interna che si accompagna a una “riduzione della spesa pubblica” e si sostanzia nella progressiva e continua riduzione dei deficit di bilancio e della quantità di moneta circolante. Funzionale a questo obiettivo sono anche tutte le conseguenze annesse e connesse a questa scelta, vale a dire: la riduzione dei servizi pubblici e privati e la conseguente contrazione del PIL, anche se questa appare del tutto ingiustificata.

Questa scelta di politica economica, che ai profani di macroeconomia neoclassica e monetarista – o dottrina mainstream – può apparire folle, è quella che va attuata, secondo dottrina (modello AS-AD), quando la svalutazione interna non ha avuto l’effetto desiderato perché, come si dice nel gergo tecnico, la dinamica di medio periodo non si è innescata. Allora bisogna forzare ancora di più la dinamica di breve periodo attuando politiche ancora più restrittive, in questo caso, affiancate da una azione che invogli investimenti, da parte di “capitali esteri”, che accompagnino la crescita di medio periodo.

Detta così, per i profani, è proprio brutta. Esemplifichiamo. È come se uno volesse riparare un elettrodomestico dandogli tante mazzate (politiche restrittive di breve periodo) ma lui, finora, non si è messo in moto (non si è attivata la dinamica di medio periodo) nonostante esso fosse collegato a una presa di corrente standard. Ebbene, adesso, si tenta di dare mazzate ancora più forti (ulteriore politica restrittiva) collegando l’elettrodomestico ad una presa con un voltaggio ancora maggiore (capitali esteri aggiuntivi). Ma qualsiasi buon artigiano, con riferimento all’esempio, dirà «ma così, se si non era ancora sfasciato, si distruggerà l’elettrodomestico del tutto!» e quello dell’artigiano si può proprio definire “buon senso”.

Le politiche restrittive vanno ormai avanti dagli anni ’80, si sono acuite negli anni ’90 del secolo scorso e sono cresciute in maniera spropositata dal 2011 in poi. Ma niente, la dinamica di medio periodo – la cosiddetta “crescita” – non parte. Nel frattempo, Catania, che negli anni ’80 aveva visto la luce in fondo al tunnel per la realizzazione del “Canale di Gronda” che avrebbe dovuto proteggere la città dalle alluvioni, ha visto spegnersi questa luce del tutto nei primi anni ’90 e ora da decenni versa in uno stato di totale abbandono. Delle alluvioni che si sono susseguite negli anni – e ce ne sono state, eccome – non è importato niente a nessuno. Ora si sono accesi i riflettori. Perche?

Perché adesso occorre anche mostrare al mondo di essere attraenti nei confronti dei capitali finanziari esteri. E questi come si attraggono? Mostrando che in Italia ci sono tanti lavori da fare, tra cui  potenziare il sistema di protezione idro-geologico? Magari mostrando che a seguito di tali lavori le potenzialità e le capacità del laborioso popolo italiano ne risulteranno potenziate? No. Macché! Non gliene frega proprio niente a nessuno! (scusate il francesismo).

I grandi capitali esteri si attraggono in un altro modo: dando loro la possibilità di compiere investimenti di natura prevalentemente speculativa, senza alcun “rischio di cambio”. Sono quelle cose che sono “piuttosto rischiose” perché, spesso, molto spesso, tendono a diventare “bolle speculative”. Ciò perché la natura del capitale finanziario non è quella di ricercare un rendimento futuro, in un futuro non ben definito, ma è quella di ottenere alti rendimenti hic et nunc, nel brevissimo periodo. Per cui, non è importante che qualcosa abbia un effettivo rendimento o valore, la cosa importante è che gli altri credano che ce l’abbia, in modo da poter vendere o comprare titoli, per lucrare sulla differenza, quando si prospettano brusche variazioni del loro valore che, se non ci sono, vengono create ad hoc. E quali possono essere queste cose?

Sono quelle che sono oggi sotto i riflettori, che devono necessariamente essere propagandate diffusamente,  sono i primi due punti del PNRR (Piano Nazionale di Resistenza e Resilienza) dell’attuale governo: 1) digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura e turismo e  2) rivoluzione verde e transizione ecologica. Proprio quelle cose che i commentatori mettono in evidenza parlando del disagio, delle difficoltà, delle sofferenze e delle tragedie della provincia di Catania in questo evento meteorologico avverso.  Ma sono anche quelle cose che i “mercati finanziari” vedono o, meglio, faranno in modo di far vedere agli altri, per poter dare avvio a una stagione di intensa attività speculativa. L’arrivo di capitali provenienti dai mercati finanziari, esporrà il Paese agli umori degli investitori e soprattutto ai loro malumori, alle loro scommesse di brevissima durata, in una sorta di gioco che assomiglia molto più a un casinò che a un’economia vera e propria.

Nel PNRR, degli interventi di protezione idrogeologica, invece, e di tutti gli altri lavori utili al territorio non c'è un granché, mentre essi, in realtà, dovrebbero stare al centro di un intervento di reale “sviluppo” del Paese.

 Qualcuno obietterà «ma, scusate, l’economia non doveva essere quella cosa che serviva a vivere, a migliorarsi e a fare cose utili?».  L’obiezione è di puro “buon senso” ma viene in un’epoca di pura insensatezza, perché potremmo venire coinvolti in un’immensa attività speculativa che, tra gli scenari possibili – speriamo mai – ne presenta uno terribile, che si chiama “crisi finanziaria globale”.

Questo rischio non è così lontano come sembra agli economisti mainstream, perché le continue politiche restrittive hanno portato in stato di deflazione – nel caso in specie, deflazione del debito – numerose categorie e settori economici del Paese e la commistione tra credito esteso e deflazione del debito, in assenza di “rischio di cambio”, è sempre stata foriera di gravi crisi finanziarie sia interne, che esterne. Basti, ad esempio, citare come crisi interna la crisi dei “mutui subprime” negli USA e come crisi esterna quella dell’Argentina, neanche tanto lontane nel tempo, ma troppo facilmente dimenticate dagli organi di stampa nostrani.

 

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