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lunedì 8 febbraio 2016

Effetti della svalutazione interna



Depressione della domanda ed espansione dell’offerta

Le svalutazioni interne, come visto, sono impiegate per ottenere un vantaggio competitivo agendo sulla domanda e sull’offerta, in particolare, deprimendo la prima ed espandendo la seconda. Poiché la competizione economica internazionale è, oggi, il paradigma di riferimento della visione economica dominante, è chiaro che l’intera impostazione dell’efficienza organizzativa di un Paese deve essere concepita solo dal lato dell’offerta.
Il potenziamento della domanda è visto, così, come qualcosa di negativo perché costituisce un costo; qualcuno direbbe un «lusso che non possiamo permetterci». Sicché quei Paesi che hanno svolto la propria azione economica con lo scopo di garantire un adeguato livello di domanda, volta a dare benessere ai propri cittadini, sono etichettati come Paesi che «hanno vissuto al di sopra delle proprie possibilità».

In questa visione, ancora una volta, è insita la micro fondazione dell’economia, secondo la quale il buon lavoratore, come la formichina, risparmia e, con il suo modo di vivere parco e austero, può, alla fine, diventare ricco e fare del bene a sé e agli altri. Non che, a livello micro, ci sia qualcosa di male in questa visione – tipicamente calvinista – e nemmeno può dirsi che il buon lavoratore non sia una persona più che degna di ogni rispetto; ed è giusto che sia così.
Tuttavia, se tutti fossero buoni lavoratori, nel senso anzidetto, e nessuno acquistasse, per risparmiare, il prodotto di un buon lavoratore, tutti questi signori farebbero tutti insieme la fame, parcamente e austeramente. Perciò, anche il buon lavoratore ha bisogno che ci siano coloro che acquistino i prodotti o i servizi offerti e valutare gli effetti del comportamento micro, senza analizzare il contesto aggregato, può portare a gravi errori di analisi. Ritenere, quindi, che l’offerta, da sola, possa far funzionare l’economia, senza preoccuparsi di sostenere la domanda, è un modo miope di guardare le cose. È ovvio che neanche la domanda, da sola, possa far funzionare efficacemente l’economia. Le due facce dell’economia, domanda e offerta, vanno quindi trattate insieme, affiancando dinamicamente all’offerta la domanda e viceversa, evitando il formarsi di squilibri, nell’un senso e nell’altro.
Non ha perciò senso deprimere la domanda. Ciò è tanto più vero quando si consideri che la domanda è volta a soddisfare i bisogni di ciascun individuo e questi bisogni non sono, tra loro, tutti uguali. Per capirlo, basta riferirsi alla cosiddetta piramide dei bisogni di Maslow (1954) riportata in figura 1.
 
La piramide dei bisogni di Maslow (1954) mostra che i bisogni degli individui vanno soddisfatti secondo una scala crescente che va dalla fisiologia, alla sicurezza, all'appartenenza, alla stima e, infine, all'autorealizzazione
Figura 1
Secondo Maslow, i bisogni vanno soddisfatti secondo una sequenza gradualmente crescente che va dai bisogni primari o fisiologici, a quelli di sicurezza, di appartenenza, di stima e di autorealizzazione. È ovvio come non sia possibile soddisfare i bisogni di livello più elevato, se non sono soddisfatti prima i bisogni primari, poi quelli di sicurezza e via dicendo …
La depressione della domanda porta a una progressiva rinuncia a soddisfare i bisogni di livello più elevato che sottendono la struttura culturale di un sistema sociale. Si ha così che un sistema economico svalutato è portato a leggere molto meno, porsi meno problemi, giacché si è meno dotati di strumenti culturali in grado di affrontarli. Si degrada, così, anche il tessuto culturale e sociale che tende a ricorrere a dei surrogati sempre più vuoti di contenuti sostanziali. La cultura diventa, quindi, il lusso che non possiamo più permetterci perché non è possibile farsi «un panino con la divina commedia». E poi è la volta del rispetto reciproco e delle interazioni sociali che sono progressivamente svuotate dei loro valori.
La depressione della domanda reca con sé il seme dell’imbarbarimento di una società che diventa incapace di soddisfare bisogni speculativi e tende, principalmente, a soddisfare bisogni di prima necessità, anch’essi di qualità scadente e approssimativa.
L’espansione dell’offerta, volta a ridurre i costi il più possibile, induce a offrire prodotti che richiedono manodopera sempre più dequalificata, processi produttivi quanto più standardizzati possibile, materie prime sempre meno pregiate: quanta più spazzatura si riesce a riciclare tanto più si è bravi. Anche il lavoro intellettuale deve diventare meno qualificato perché non serve, tanto ci sono computer, linee guida, format e tante altre cose già bell’e pronte.
I salari devono, così, adeguarsi solo agli standard minimi che permettano il soddisfacimento dei bisogni primari. Tuttavia, anche in questo, noi occidentali, siamo troppo pretenziosi, perché la pizza la preferiamo capricciosa. Allora, occorre far giungere all’interno del sistema economico manodopera molto meno pretenziosa, che si accontenta della crosta di pane, per intenderci. E si da, così, il via all’arrivo di frotte di poveri disgraziati che scappano dalle guerre causate da noi stessi, con lo scopo di abbassare il più possibile i salari.
Perché tutto ciò? Per continuare a fare competizione economica internazionale.
Il tutto sembra assomigliare a una paurosa corsa al ribasso in tutte le possibili direzioni, perché qualcuno ha fatto una svalutazione interna competitiva prima degli altri e, non solo non accenna minimamente a tornare indietro sulle proprie posizioni, ma continua a svalutare internamente più degli altri, ricercando tutti i modi possibili, tra cui quelli anzidetti, per contenere i salari.
Non è una questione di cattiveria pura e semplice; è invece un vortice nel quale chi entra, non può più uscire perché si creano credito, da una parte, e debito, dall’altra. Chi è in credito verso gli altri, per un eccesso di surplus, non può più recedere dalle proprie posizioni perché farebbe saltare in aria il proprio sistema economico, andando incontro a un crollo devastante. Chi è in debito deve soffrire le pene dell’inferno, per cercare di ripagarlo, ma non può farlo perché non c’è sufficiente moneta in circolazione, poiché la domanda è depressa e non gli resta altra speranza che quella per cui chi è in credito salti per aria.
Una domandina piccola, piccola: perché non ci si accorda per uscire da questo equilibrio di Nash in cui si è caduti, per aver voluto partecipare a un gioco non cooperativo e a informazione incompleta?
La risposta a questa domanda richiederebbe solo una piccola dose di buona volontà e – il che non sembra essere la stessa cosa, ma non è vero – una massiccia emissione monetaria emessa da un Ente Sovrano super partes che funga anche da emettitore di valuta di riserva internazionale, che abbia la funzione di sanare gli squilibri sul nascere. Insomma, una Bretton Woods III. 
Bretton Woods è il nome di una località degli Stati Uniti d’America, in cui si tenne, sul finire della seconda guerra mondiale, una famosa conferenza per stabilire l’ordine monetario internazionale. Servirebbe proprio qualcosa del genere e sarebbe il caso di farla prima che scoppi una guerra, non dopo.

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