Depressione della domanda ed espansione dell’offerta
Le svalutazioni interne, come visto, sono impiegate per ottenere un vantaggio competitivo
agendo sulla domanda e sull’offerta, in particolare, deprimendo la
prima ed espandendo la seconda. Poiché la competizione economica internazionale è, oggi, il paradigma di riferimento della visione
economica dominante, è chiaro che l’intera impostazione dell’efficienza
organizzativa di un Paese deve essere concepita solo dal lato dell’offerta.
Il potenziamento della domanda è visto, così, come qualcosa di negativo perché costituisce
un costo; qualcuno direbbe un «lusso che non possiamo permetterci».
Sicché quei Paesi che hanno svolto la propria azione economica con lo scopo di
garantire un adeguato livello di domanda,
volta a dare benessere ai propri
cittadini, sono etichettati come Paesi che «hanno vissuto al di sopra delle proprie possibilità».
In questa visione, ancora una volta, è insita la micro fondazione dell’economia, secondo
la quale il buon lavoratore, come la
formichina, risparmia e, con il suo modo di vivere parco e austero, può, alla
fine, diventare ricco e fare del bene a sé e agli altri. Non che, a livello micro, ci sia qualcosa di male in questa
visione – tipicamente calvinista – e
nemmeno può dirsi che il buon lavoratore
non sia una persona più che degna di ogni rispetto; ed è giusto che sia così.
Tuttavia, se tutti fossero buoni lavoratori, nel senso anzidetto, e nessuno acquistasse, per risparmiare, il prodotto di un buon
lavoratore, tutti questi signori farebbero tutti insieme la fame, parcamente e
austeramente. Perciò, anche il buon
lavoratore ha bisogno che ci siano coloro che acquistino i prodotti o i servizi
offerti e valutare gli effetti del comportamento
micro, senza analizzare il contesto
aggregato, può portare a gravi errori di analisi. Ritenere, quindi, che l’offerta, da sola, possa far funzionare
l’economia, senza preoccuparsi di sostenere la domanda, è un modo miope di guardare le cose. È ovvio che neanche
la domanda, da sola, possa far
funzionare efficacemente l’economia. Le due facce dell’economia, domanda e
offerta, vanno quindi trattate insieme, affiancando
dinamicamente all’offerta la domanda e viceversa, evitando il formarsi di squilibri, nell’un senso e nell’altro.
Non ha perciò senso deprimere la domanda. Ciò è tanto
più vero quando si consideri che la domanda
è volta a soddisfare i bisogni di
ciascun individuo e questi bisogni non
sono, tra loro, tutti uguali. Per capirlo, basta riferirsi alla cosiddetta piramide dei bisogni di Maslow (1954)
riportata in figura 1.
Secondo Maslow,
i bisogni vanno soddisfatti secondo una sequenza gradualmente crescente che va dai
bisogni primari o fisiologici, a quelli di sicurezza, di appartenenza, di stima e
di autorealizzazione. È ovvio come
non sia possibile soddisfare i bisogni di livello più elevato, se non sono
soddisfatti prima i bisogni primari, poi quelli di sicurezza e via dicendo …
La depressione
della domanda porta a una progressiva rinuncia a soddisfare i bisogni di
livello più elevato che sottendono la struttura
culturale di un sistema sociale. Si ha così che un sistema economico svalutato è portato a leggere molto meno,
porsi meno problemi, giacché si è meno dotati di strumenti culturali in grado di affrontarli.
Si degrada, così, anche il tessuto culturale e sociale che tende a ricorrere a
dei surrogati sempre più vuoti di
contenuti sostanziali. La cultura
diventa, quindi, il lusso che non possiamo più permetterci perché non è
possibile farsi «un panino con la divina
commedia». E poi è la volta del rispetto reciproco e delle interazioni
sociali che sono progressivamente svuotate dei loro valori.
La depressione
della domanda reca con sé il seme dell’imbarbarimento
di una società che diventa incapace di soddisfare bisogni speculativi e tende, principalmente, a soddisfare bisogni di prima necessità, anch’essi di
qualità scadente e approssimativa.
L’espansione
dell’offerta, volta a ridurre i costi
il più possibile, induce a offrire prodotti che richiedono manodopera sempre più dequalificata, processi produttivi quanto più
standardizzati possibile, materie
prime sempre meno pregiate: quanta più spazzatura si riesce a riciclare tanto
più si è bravi. Anche il lavoro intellettuale deve diventare meno qualificato perché
non serve, tanto ci sono computer, linee
guida, format e tante altre cose già bell’e pronte.
I salari devono,
così, adeguarsi solo agli standard minimi che permettano il soddisfacimento dei
bisogni primari. Tuttavia, anche in questo, noi occidentali, siamo troppo
pretenziosi, perché la pizza la preferiamo capricciosa.
Allora, occorre far giungere all’interno del sistema economico manodopera molto meno pretenziosa, che
si accontenta della crosta di pane,
per intenderci. E si da, così, il via all’arrivo di frotte di poveri
disgraziati che scappano dalle guerre causate da noi stessi, con lo scopo di
abbassare il più possibile i salari.
Perché tutto ciò? Per continuare a fare competizione economica internazionale.
Il tutto sembra assomigliare a una paurosa corsa al ribasso in tutte le
possibili direzioni, perché qualcuno ha fatto una svalutazione interna competitiva prima degli altri e, non solo non
accenna minimamente a tornare indietro sulle proprie posizioni, ma continua a
svalutare internamente più degli altri, ricercando tutti i modi possibili, tra
cui quelli anzidetti, per contenere i salari.
Non è una questione di cattiveria pura e semplice; è
invece un vortice nel quale chi
entra, non può più uscire perché si creano credito,
da una parte, e debito, dall’altra.
Chi è in credito verso gli altri, per un eccesso di surplus, non può più
recedere dalle proprie posizioni perché farebbe
saltare in aria il proprio sistema economico, andando incontro a un crollo devastante. Chi è in debito deve soffrire le pene dell’inferno,
per cercare di ripagarlo, ma non può farlo perché non c’è sufficiente moneta in circolazione, poiché la domanda è depressa e non gli resta altra
speranza che quella per cui chi è in credito salti per aria.
Una domandina piccola, piccola: perché non ci si accorda per uscire da questo equilibrio di Nash in cui si è caduti, per aver voluto partecipare a un gioco non cooperativo e a informazione incompleta?
La risposta a questa domanda richiederebbe solo una piccola dose di buona volontà e – il che
non sembra essere la stessa cosa, ma non
è vero – una massiccia emissione monetaria emessa da un Ente Sovrano super
partes che funga anche da emettitore di valuta
di riserva internazionale, che abbia la funzione di sanare gli squilibri sul nascere. Insomma, una Bretton
Woods III.
Bretton
Woods è il nome
di una località degli Stati Uniti d’America, in cui si tenne, sul finire della
seconda guerra mondiale, una famosa conferenza per stabilire l’ordine monetario internazionale.
Servirebbe proprio qualcosa del genere e sarebbe il caso di farla prima che
scoppi una guerra, non dopo.
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