Il conflitto perenne della preferenza per la liquidità
Abbiamo già visto che la dottrina economica che
s’ispira all’equilibrio macroeconomico
generale descrive l’economia, in condizioni di equilibrio, come qualcosa di armonioso
e profondamente razionale, mentre
ogni comportamento che allontana dall’equilibrio
è descritto in termini negativi e moralmente
deprecabili. In realtà, in questa visione c’è qualcosa di vero e non può essere
altrimenti, perché, se questa visione si è affermata come una valida interpretazione
dei fatti economici, deve ispirarsi necessariamente a un fondo di verità.
Quel che c’è di vero, nei meccanismi che contrastano il
verificarsi dell’equilibrio, è
interamente racchiusa nel meccanismo che sottende la preferenza per la liquidità. Questa costituisce un quanto di scambio che ogni sistema economico omogeneo,
caratterizzato da un comportamento univoco, scambia sia al proprio interno, sia
con altri sistemi omogenei.
La preferenza
per la liquidità rappresenta la quantità
monetaria che le unità desiderano accaparrarsi, in ogni interazione di scambio, con lo scopo di tenere lontano
lo stato di necessità. Essa cresce in
maniera inversamente proporzionale
all’attività economica quando si paventano situazioni sgradite che possono condurre allo stato di necessità, quella condizione per cui l’unità rischia di
non riuscire a soddisfare i propri bisogni primari di sopravvivenza.
Essa, perciò, cresce al crescere del livello d’indebitamento che affligge un
dato sistema economico ed è all’origine di un conflitto tra unità che rende impossibile l’equilibrio tra domanda e offerta, che possa permettere a tutte le
unità di raggiungere simultaneamente la massima
utilità; cioè la configurazione di ottimo paretiano. Questa conflittualità
è causata dal fatto che, quando è presente preferenza
per la liquidità, ogni compratore desidera
risparmiare quel quanto di scambio,
mentre ogni venditore desidera guadagnare quel di più che, ancora un volta, è il quanto di scambio. Ciò genera sempre un conflitto perché, se la
spunta il venditore, il compratore si sente truffato, se la spunta il
compratore, il venditore si sente defraudato.
I mercanti arabi del medioevo – un’epoca in cui gli
stati sgraditi percepibili non mancavano di certo – avevano così ben chiaro questo
comportamento che elevarono a prassi il mercanteggiare
perenne e conflittuale, durante lo scambio, tra il venditore e l’acquirente
e, ancora oggi, gli arabi mantengono invariata questa tradizione.
Nella situazione conflittuale determinata dalla preferenza per la liquidità, la
definizione di un prezzo reale di
equilibrio perde significato e ciò accade, ancor di più, in quelle situazioni
in cui si percepisce che l’attività
economica non ha alcuna possibilità di espandersi.
Sicché, l’accrescersi della preferenza per la liquidità contiene, esattamente come dice la
dottrina economica dominante, tutta una serie di fattori morali deprecabili che allontanano dall’armonioso equilibrio macroeconomico. Va
però chiarito che questi fattori morali
non sono la causa di questo particolare comportamento economico, ma ne sono l’effetto. Così, corruzione, inettitudine, e ogni altra forma di comportamento irrazionale, non sono all’origine del comportamento
economico di una Nazione ma sono l’effetto di com’è gestita la sua politica economica e le sue interazioni
con il settore estero. Certamente vi
sono dei fattori soggettivi in questi
comportamenti, ma, a livello aggregato,
non può supporsi che in una Nazione tutti siano brutti, sporchi e cattivi e,
viceversa, in un’altra tutti siano belli, lindi e buoni. Questi comportamenti,
perciò, sono un indice di tendenza
complessiva che, lungi dall’essere delle distorsioni, possono essere associate
a una qualche legge di natura
economica.
Il principio dimassima entropia, secondo il quale, un sistema aggregato evolve sempre nel
verso in cui è massima la probabilità
che occorra una data configurazione, mostra che ogni scambio deve comportare sempre un aumento di entropia, cioè disordine e perdita d’informazione. Ciò vieta
che il quanto di scambio possa essere piccolo a piacere. Se, infatti, il quanto di scambio fosse piccolo a piacere, si potrebbe scambiare una quantità illimitata di attività economica senza perdita d’informazione e, quindi, senza alcun aumento di entropia. L'ampiezza del quanto di scambio – che è proprio la preferenza per la liquidità – determina, perciò, quell'esatto aumento
di entropia, in ciascuno scambio, che porta alla configurazione di massima entropia, cioè statisticamente più probabile, compatibile con il vincolo costituito dal reddito disponibile. Più basso è il reddito, più alta è, in genere, la preferenza per la liquidità. Inoltre, poichè gli scambi avvengono sempre generando disordine e perdita d'informazione, si ha che l’economia è del tutto assimilabile a un gioco non cooperativo a informazione incompleta.
La preferenza
per la liquidità è, così, associabile a un comportamento non cooperativo delle singole unità, tanto più conflittuale quanto più è contratto il livello di reddito complessivo. Reddito disponibile, attività economica e dinamica degli scambi – dipendente dalla velocità di circolazione – determinano, perciò, l'ampiezza del quanto di scambio.
Il modello di
economia dinamica mostra, infatti, che la preferenza per la liquidità è il quanto di scambio compatibile, a livello aggregato, con il reddito
complessivo disponibile in base al bilancio
definito dal primo principio; cioè,
in base alla liquidità complessiva
entrante o uscente e alla crescita
che è possibile attuare, in termini di produzione
e di capitali. In particolare, la preferenza per la liquidità ζ si riduce quando l’attività economica v aumenta
d’intensità; è quindi legata alla crescita
L, le cui risorse, oltre a dipendere
da come evolve il livello dei prezzi p
lungo un percorso γ, sono contenute,
a loro volta, nella liquidità Q, in
base alle relazioni seguenti:
ζ = λ/v;
L = ∫γ p·dv; Q =
ΔU + L
Si nota, quindi, che l’elemento decisivo in grado di
innalzare sia il livello complessivo dei
redditi ΔU, sia la crescita L, sia ridurre la preferenza per la liquidità, è l’ammontare
complessivo di liquidità Q entrante o
uscente, che rappresenta il livello di domanda della produzione domestica.
Pertanto, l’effettivo equilibrio da raggiungere non è l’equilibrio statico tra domanda
e offerta, attuato contenendo la domanda e abbassando il livello dei prezzi, ma è,
al contrario, un equilibrio dinamico
in cui occorre mantenere sostenuto il
livello di liquidità Q, di modo che
il circolante ΔU abbia modo di
espandersi e si possano recuperare le risorse, in particolare i capitali, che permettano l’espansione
dell’attività economica, che
contrasta l’accrescersi della preferenza
per la liquidità.
L’equilibrio suddetto è di tipo dinamico perché non è
stabile e, come tale, richiede un’azione
correttiva continua allo stesso modo di come occorre, continuamente, stare
attenti nel cercare di far star in piedi
un bastone, perché esso tende a cadere una volta da una parte, una volta
dall’altra.
L’instabilità
è causata dal fatto che il trasferimento
di liquidità tende a generare squilibri, con relative conseguenze sull’occupazione e sull’attività economica, se non si compensa il trasferimento di liquidità, in un verso, con un aumento del circolante all’interno del
sistema in surplus, di modo che
questi possa trasformarsi da esportatore
anche in importatore. Occorre cioè, cha a ogni fase di acquisizione di liquidità, il sistema in surplus faccia seguire, sempre, una fase in cui esso reflazioni, permettendo al sistema in deficit di ristabilire l’equilibrio commerciale, che esso, da
solo, con le proprie sole forze, non può mai riuscire a raggiungere.
Qualcuno obietterà che, così facendo, il peso della crescita si riduce e, in questo modo, la
preferenza per la liquidità non può
ridursi al minimo. Il punto dell’azione
dinamica è proprio questo, perché lo scopo non è quello di ridurre la preferenza per la liquidità al minimo
possibile, perché ciò comporterebbe, per la relazione ζ = λ/v, una crescita
mostruosa che potrebbe non essere compatibile con le risorse disponibili, ma è quello di una crescita sostenibile volta a stabilizzare
la preferenza per la liquidità a un
livello che permetta anche un certo otium;
elemento che nella storia umana ha contribuito all’origine delle arti, della filosofia
e delle scienze; il tutto, in una sorta di stabilità ricorrente.
Questa stabilità
ricorrente non può che essere affidata a Istituzioni Sovrane in grado di attuare azioni cooperative e, tra queste, la più importante: garantire un
adeguato livello di liquidità
internazionale attuata mediante l’emissione
monetaria di una valuta di riserva
internazionale esente dal dilemma di
Triffin (di cui si tornerà a parlare) e che permetta l’estinzione del debito. In caso contrario, l’intero
sistema economico mondiale corre il rischio di andare incontro a una deflazione senza precedenti.
Tuttavia, la cosa più importante, che le Istituzioni Sovrane dovrebbero garantire,
è l’equilibrio dinamico della liquidità,
consistente nell’evitare, mediante la reflazione
di chi va in surplus, la formazione
di squilibri commerciali.
Quest’azione non consiste nel penalizzare chi ha esportato di più, ma comporta
soltanto che chi ha lavorato di più aumenti il proprio circolante, in sostanza, diventi più ricco, in modo da sostenere la domanda anche nei confronti di chi va in deficit.
In sintesi, poiché il meccanismo della preferenza per la liquidità porta a
un’azione conflittuale continua, di
tipo non cooperativo, esso tende a
generare un equilibrio di Nash che
non è, in generale, un ottimo paretiano.
Occorre, allora, un accordo per
definire regole comuni e condivise e che
permetta di uscire dall’equilibrio di
Nash, al fine di conseguire una configurazione
migliore per tutti. In sostanza, serve un nuovo sistema monetario internazionale, non più improntato alla competizione economica internazionale,
ma alla cooperazione.
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