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giovedì 28 gennaio 2016

Debito, tasso d’interesse e moneta



Il teorema di Modigliani - Miller

Una delle tesi più importanti dell’attuale visione economica e che supporta teoricamente la finanziarizzazione dell’economia è il Teorema di Mogliani – Miller. Questo teorema afferma che in assenza di imposte sul reddito delle società, di costi di fallimento e di asimmetrie informative e in un mercato efficiente, il valore complessivo  di un'impresa non dipende dal modo in cui l'impresa si finanzia, se con capitale proprio oppure con debito.
L’applicazione di questo teorema rende subordinato il ruolo della moneta emessa dalle Istituzioni sovrane rispetto ai titoli di debito contrattati all’interno dei mercati finanziari. Così, infatti, la moneta non è più basilare per l’elemento costitutivo fondamentale del sistema economico: la formazione del capitale. L’elemento più importante diventa un altro: il debito dovuto alla sua controparte duale, il credito, ottenibile grazie ai risparmi.
Questa visione è così consolidata da aver costituito, quantomeno fino alla crisi finanziaria USA del 2008, il riferimento tecnico della contabilità internazionale: la bilancia dei pagamenti. Infatti, un Paese che subisca uno squilibrio commerciale o, com’è definito in detta contabilità, un conto corrente negativo, deve bilanciarlo con un conto finanziario positivo, se la moneta non può svalutarsi, quando il cambio è fisso. Questo significa che il Paese in deficit commerciale deve indebitarsi sui mercati finanziari. Precisiamo, non è una facoltà del Paese suddetto indebitarsi, è un obbligo se si vuole mantenere fisso il cambio.
La tesi del Teorema di Modigliani – Miller è ottenuta in ambito microeconomico ed essa ha assunto un ruolo considerevole anche in campo macroeconomico, perché, secondo l’attuale visione, occorre che vi sia una micro fondazione della macroeconomia. In altri termini, la macroeconomia sarebbe la somma degli effetti prodotti a livello micro dai singoli costituenti il sistema economico. Pertanto, quel che è vero in campo microeconomico lo è anche in campo macroeconomico.
Questa conclusione sembrerebbe molto ragionevole e ben argomentata, se non fosse che la macroeconomia racchiude in sé variabili e scopi ben diversi dalla microeconomia. Ne abbiamo già fatto cenno in altri post, ma adesso possiamo trattare in dettaglio quest’argomento per il caso specifico in esame. In primo luogo, possiamo osservare, per esempio, che nel caso di un organismo biologico complesso, il comportamento che gli consente di vivere può non coincidere con quello delle singole cellule che lo costituiscono, ma può discostarsi da esso parecchio.
Per trattare il caso in esame, ci si ricondurrà al principio di massima entropia, che nel caso dei sistemi complessi in cui si produce informazione incompleta, indica qual è la configurazione che ha la massima probabilità di verificarsi. Il modello che si riconduce a questo principio è l’economia dinamica che stiamo presentando in questo blog. In questo modello si mostra che il reddito medio u di un sistema economico omogeneo è esprimibile da una relazione del tipo:
u = (N·m + D) e-ζ/m
In questa relazione, N è la velocità di circolazione della moneta emessa m, D è il debito complessivo e ζ è la preferenza per la liquidità. È interessante osservare che l’espressione ottenuta nel modello di economia dinamica non è molto dissimile dalla tesi del teorema di Modigliani – Miller; infatti, essa mostra che il debito D contribuisce all’aumento del reddito. Tuttavia, essa mostra anche che, a livello aggregato (macro), occorre tenere nel debito conto gli effetti prodotti dall’azione congiunta della preferenza per la liquidità ζ e dell’emissione monetaria m.
Nel caso microeconomico, in cui le scelte di una singola azienda non sono in grado di influenzare significativamente i parametri di un sistema complesso, ha perfettamente senso affermare che un aumento del suo livello d’indebitamento possa tradursi in un aumento del suo reddito. A livello microeconomico, quindi, il teorema di Modigliani – Miller mostra di essere validamente applicabile alla gestione aziendale.
Le cose si complicano notevolmente se, invece, il debito inizia a diffondersi estensivamente nel sistema economico fino a diventare una pratica prevalente e tende a sostituire la moneta. La causa principale delle complicazioni che sorgono è attribuibile alla preferenza per la liquidità che, come si dimostra nel modello di economia dinamica, assume la seguente forma:
ζ = (m + D/N) ir
In questa relazione, ir è il tasso d’interesse reale, coincidente, nel modello econodinamico, con il tasso d’interesse critico keynesiano. Questa espressione denuncia che un eccessivo livello d’indebitamento tende a far innalzare in maniera molto critica la preferenza per la liquidità e, perciò, a ridurre in maniera considerevole il reddito.
L’espressione precedente evidenzia, inoltre, che, se l’emissione monetaria è contratta, il parametro decisivo che innalza la preferenza per la liquidità è il tasso d’interesse reale (o critico). Quest’ultimo è la causa principale, come già visto, del manifestarsi della trappola della liquidità e si scopre, perciò, che è proprio l’eccessivo livello di debito a indurre questa condizione critica che, se assecondata, può condurre, anche, alla più pericolosa deflazione da debiti.
L’azione congiunta di contrazione monetaria, compiuta contenendo i deficit di bilancio pubblici e del debito privato, produce, quindi, blocchi e interruzioni nel decorso della moneta tra  vari sottosistemi perché si manifestano forti differenze tra i fattori monetari di ciascun sottosistema che, unitamente all’effetto del tasso d’interesse reale, impediscono che la moneta emessa possa distribuirsi uniformemente nel sistema economico complessivo. Il legame con il livello d’indebitamento è testimoniato dall’espressione stessa assunta dal fattore monetario F, per ciascun sottosistema caratterizzato da preferenza per la liquidità ζ e velocità di circolazione N:
F = (Nm – D)/ (Nm + D)
Abbiamo già visto che il regime economico più critico è la deflazione da debiti che investe un sistema economico omogeneo quando il fattore monetario è nullo o negativo. Osservando l’espressione ottenuta, si vede che la causa della deflazione da debiti è proprio il livello complessivo d’indebitamento, quando questo supera la somma di redditi e risparmi data da Nm.
Non occorre, tuttavia, che un sistema raggiunga tale condizione per deprimersi, perché, com’è già stato osservato, il passaggio da trappola della liquidità a deflazione da debiti avviene spontaneamente quando non si interviene a correggere le distorsioni che causano l’interruzione del percorso della moneta.
Si vede, perciò, che a livello aggregato, in cui intervengono altri meccanismi dovuti alla complessità del sistema, l’effetto del debito è ben diverso da quello teorizzabile tramite la micro fondazione della macroeconomia.
La crisi finanziaria USA del 2008 ebbe una causa scatenante ben precisa: la crisi dei mutui subprime; ossia, l’indebitamento esorbitante di alcuni sottosistemi economici che produsse crediti deteriorati, trappola della liquidità e uno scollamento tra economia reale ed economia finanziaria – quest’ultima impegnata in fantasiose operazioni di ingegneria finanziaria – che portò al tracollo del sistema. Il tracollo completo fu evitato solo grazie a una possente emissione monetaria: il piano dell’allora Segretario al Tesoro Henry Paulson, quantificato, all’epoca, in 700 miliardi di dollari e approvato dal Congresso a seguito del fallimento della Leeman Brothers.
La stampa, in questi giorni, torna a parlare di crediti deteriorati associati a un credito che diventa sempre più inesigibile, trasformati in prodotti finanziari da impacchettare in cartolarizzazioni che li rendano più appetibili e trasferiti in blocco a una Bad Bank. Tutto ciò, come se nulla fosse accaduto nel recente passato. Questi titoli di debito costituiranno un costo per le banche ed esse dovranno farlo pagare a qualcuno. A chi? Forse, com’è già successo; ai risparmiatori?

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