La pompa monetaria
Si è visto nel post
precedente che la presenza di debito
diffuso interrompe il percorso della moneta a causa della preferenza per la liquidità che indica il manifestarsi di incertezza all’interno di porzioni – o
più precisamente, sottosistemi – del
sistema economico complessivo. Quando questo accade, servirebbero opportuni correttivi che consentano di
sbloccare le interruzioni del percorso
monetario ripristinando la fluidità di
circolazione della moneta. Se ci si affida, invece, soltanto ai soli
fattori istituzionali della circolazione – moltiplicatore monetario e velocità di circolazione
istituzionale – la moneta che ristagna
negli accumuli monetari, costituiti dai risparmi,
impedisce che essa possa costituire l’elemento propulsore dell’attività economica.
Invece, nell’attuale visione economica, le cose sono
viste in maniera diametralmente opposta, perché l’eccesso di moneta circolante
è visto come la causa dell’inflazione.
I risparmi, secondo questa visione, sono il motore
dell’economia perché da essi dipendono gli investimenti
e, in particolare, il capitale che ne
determina il volume. Questa considerazione, a livello microeconomico, appare fondata e corretta. Solo a livello micro, però.
A livello macroeconomico
le cose stanno diversamente. Infatti, se si considera un sistema aggregato, la circolazione della moneta deve avere la
priorità sui risparmi perché nessun
risparmio può formarsi se non circola moneta sufficiente. Questo fatto è
denunciato dal modello di economia
dinamica che evidenzia l’esistenza di un’emissione monetaria critica, in corrispondenza della quale, un
sistema economico cade in deflazione da debiti. Anche per livelli di emissione monetaria più elevati di quella
critica esistono regimi di funzionamento dell’economia che inducono condizioni
di crisi del percorso della moneta: deflazione e trappola della liquidità. Tutte queste condizioni sottendono sempre
il manifestarsi di preferenza per la
liquidità che il modello di economia
dinamica dimostra, mediante tecniche di analisi proprie della meccanica statistica, essere inversamente proporzionale all’attività
economica.
La preferenza
per la liquidità, come detto, è associata a diverse condizioni che, in realtà,
costituiscono differenti sfaccettature dell’incertezza.
La preferenza per la liquidità è
associata alla fiducia, al debito, alla mancanza d’informazione o all’impossibilità di
utilizzarla.
La fiducia
cui ci si riferisce in questa sede non va confusa con quella definita nell’ambito
dell’attuale visione economica, che si riferisce alla fiducia dei mercati costruita attraverso l’impiego dei mass media. Ci si riferisce, invece, a
una grandezza endogena di un sistema
economico, che pur dipendendo da fattori
soggettivi, quantifica come esso tende a evolversi. La sua definizione, fornita in maniera rigorosa nel modello di economia dinamica, assomiglia
molto di più alla percezione che l’uomo
comune, correttamente informato,
ha dell’andazzo dell’economia e che
egli percepisce nel proprio stile di vita e in quello delle persone con cui
interagisce. Ed è questo tipo di fiducia
il vero motore degli investimenti:
quando la fiducia si accresce,
aumenta anche la voglia di intraprendere
un’attività economica.
L’incertezza
va vista come una sorta d’indeterminazione
che affligge un sistema economico. Il modello
di economia dinamica identifica un vero e proprio principio d’indeterminazione, in cui sono coinvolte tre grandezze.
Precisamente, indicate con ε l’incertezza, m l’emissione monetaria
unitaria, ossia la moneta immessa, prima
della sua amplificazione, per ogni unità del sistema, e con Φ la fiducia,
nel senso sopra specificato, vale la relazione d’indeterminazione:
m = ε·Φ
Questa relazione indica che incertezza e fiducia sono, tra loro, inversamente proporzionali, tramite la moneta. Cioè, se l’incertezza aumenta perché, ad esempio, si accresce il debito, affinché la fiducia non cambi, occorre che aumenti l’emissione monetaria unitaria. Se l’incertezza diminuisce, l’emissione
monetaria può ridursi senza che cambi la fiducia.
Dopo aver fatto questi preamboli, tenendo conto della reale natura della moneta circolante,
possiamo descrivere il meccanismo della politica
fiscale, che fu introdotto, nel secondo dopoguerra, in coerenza alla Teoria Generale di John Maynard Keynes, come correttivo
di base all’economia capitalista e che, oggi, è visto, come “fumo negli occhi” dalla dottrina
economica dominante. La descrizione, tuttavia, che sarà fatta è molto diversa
nella forma, ma non nella sostanza,
da quella del grande economista di Cambridge.
Si farà riferimento alla figura 1.
Figura 1 |
In figura 1
è riportato un ciclo, che ingegneri e
scienziati, in genere, non avranno la benché minima difficoltà a riconoscere; è
il ciclo termodinamico inverso o frigorifero,
quello che sta alla base del funzionamento dei comuni frigoriferi domestici e
delle pompe di calore. Il ciclo
istituisce una perfetta analogia formale
tra le seguenti coppie di grandezze: lavoro
termodinamico e spesa pubblica; calore e liquidità; temperatura ed
emissione monetaria; sostanza che evolve ciclicamente e moneta circolante. Vediamone il funzionamento
dal punto di vista economico.
L’azione della spesa
pubblica si esercita in due fasi
distinte: spesa orientata da
parte dello Stato e tassazione. Allo
stesso modo, il lavoro termodinamico è suddiviso in due fasi: espansione e compressione.
Durante la fase di spesa,
lo Stato appalta opere pubbliche,
fornisce servizi utili alla
collettività e, così, svolge anche la funzione di consumatore di ultima istanza. Ciò comporta emissione di moneta che, in forma di salari aggiuntivi, compensa la moneta mancante e riduce il debito privato
e, infine, favorisce i consumi, cosa
che favorisce la cessione di una liquidità |L1| da parte dei consumatori alle imprese. Queste ultime,
oltre a ricevere la liquidità derivante dai consumi, ricevono, per intero, la liquidità dello Stato che
si sta comportando oltre che da consumatore
anche da investitore di ultima
istanza, mediante gli appalti,
che non sono associati a debito
perché sono pagati, per intero, dopo la prestazione. Le imprese, quindi,
ricevono la liquidità |L2|=|L1|+|G|
e la spesa pubblica permette di
incrementare i profitti delle imprese che così, possono, a livello aggregato, far fronte al debito aggiuntivo, prodotto dal tasso d’interesse, che esse hanno con
le banche. Queste ultime, a loro
volta, registrano casi molto contenuti di sofferenze (imprese che non saldano il debito) e il sistema economico complessivo è più stabile.
Occorre chiarire che la spesa pubblica si comporta come un vero e proprio capitale pubblico. È, quindi, una forma
di crescita, attuata direttamente
dallo Stato e che ha lo scopo di attenuare l’incertezza e stabilizzare la fiducia
e, perciò, gli investimenti.
Segue la fase di tassazione,
che avviene dopo che la moneta ha
circolato amplificandosi e producendo
ricchezza nei vari passaggi. La tassazione
permette di recuperare le somme anticipate e pareggiare il bilancio dello Stato e, per effetto dell’amplificazione prodotta dalla moneta
circolante, dopo il suo recupero, lascia ricchezza sia sulle imprese,
sia sui consumatori. Se l'amplificazione della moneta è efficace, la tassazione può essere ridotta a un'aliquota tanto più bassa quanto maggiore è l'amplificazione del circolante.
L’effetto principale del meccanismo descritto è legato
al fatto che la politica fiscale
attuata mediante la spesa pubblica,
nel modo descritto, permette di mantenere
invariato il livello di fiducia e consente di rimuovere le interruzioni nel percorso della moneta
che si manifestano quando si crea incertezza
associata a debito. Il meccanismo
della politica fiscale descritto
assomiglia, perciò, a una vera e propria pompa
monetaria, perfettamente analoga a una pompa
di calore.
«Balle!» Dirà qualcuno. E aggiungerà: «si è visto come
la Spesa Pubblica ha ridotto l’Italia!».
Orbene, per rispondere a queste graziose
considerazioni, che non mancheranno grazie alle convinzioni dominati cui hanno contribuito i mass media, bisogna far presente che la descrizione fatta si
riferisce a un sistema economico chiuso,
cioè che non scambia con altri sistemi
economici.
Se invece il
sistema economico è aperto – si potrebbe dire spalancato, se mancano adeguati presidi
monetari – può accadere che un sistema
estero, durante la fase di consumo,
si appropri di parte della liquidità
destinata alle imprese del sistema economico domestico, esportando più di quanto importi. In queste condizioni l’azione della Politica Fiscale perde efficacia e non è più possibile il pareggio di bilancio pubblico perché il debito delle imprese si accresce, giacché
la liquidità disponibile per le
imprese si è ridotta e il prelievo
fiscale si contrae allo stesso modo. Le banche, inoltre, iniziano a
registrare sofferenze crescenti per
effetto del debito non saldato e
iniziano a diventare instabili. Lo Stato se vuole raggiungere il pareggio di bilancio deve inasprire la tassazione, deprimendo ancora di più il sistema.
Occorre, allora, capire che affinché la politica fiscale possa essere efficace,
essa deve essere supportata da presidi
monetari internazionali adeguati che facciano riferimento a forme di cooperazione internazionale e non
a un’insensata e ossessiva competizione commerciale
tra Nazioni, che produce squilibri la
cui entità è la vera causa dei nostri problemi odierni. Per tale motivo è, oggi
più che mai, importante pensare a una riforma del sistema monetario internazionale che permetta di sanare gli squilibri prima che si vada incontro a
conseguenze molto gravi, non solo di tipo economico.
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