La causa della disoccupazione: gli squilibri
Dietro ogni aumento della disoccupazione si cela sempre un qualche squilibrio commerciale prodotto da uno squilibrio monetario. Infatti, la misura del livello di disoccupazione è quella percentuale di unità di un
sistema economico che non trovano lavoro, non perché abbiano preferenza per il tempo libero, ma
perché la probabilità che una data attività economica abbia successo e sia monetizzabile è bassa.
Pertanto, il livello
di disoccupazione è legato in maniera diretta alla probabilità di monetizzare una data offerta economica. In sostanza, la ragione essenziale, già
individuata da Keynes, consiste nel
fatto che l’offerta non è supportata
dalla domanda.
La probabilità di
monetizzare un’attività economica è, nel modello di economia dinamica, l’elemento decisivo che concorre alla
determinazione del livello dei redditi ed è del tutto identificabile col livello di occupazione; fa accrescere il reddito quando è alta, lo deprime quando è bassa.
Non è
difficile comprenderne il perché anche senza ricondursi a modellazioni
matematiche. Infatti, se la probabilità di perdere il posto di lavoro aumenta,
diminuisce il reddito medio perché le persone sono più disposte ad accettare
una riduzione del reddito pur di conservare il posto di lavoro.
È possibile rendersi conto di cosa prevede il modello,
osservando l’animazione della figura 1.
Figura 1 |
Si osserva che la probabilità
di monetizzare, ossia il livello di
occupazione all’interno di un sistema economico omogeneo caratterizzato da
una data preferenza per la liquidità ζ e da una data velocità di circolazione N, è fortemente influenzata dal rapporto tra emissione monetaria unitaria m e preferenza per
la liquidità.
Si nota, inoltre, che il fattore monetario F varia anch’esso, quando il reddito si deprime,
e ricordiamo che, indicando con N la velocità di circolazione e con D il debito,
esso rappresenta il rapporto:
F = (N·m
– D)/ (N·m + D)
In sostanza, quindi, quando il fattore monetario F diminuisce, si sta accrescendo il debito complessivo del sistema rispetto
alla quantità di moneta circolante,
rappresentata, all’incirca, dal prodotto N·m.
Pertanto, il sistema economico sta subendo una contrazione di emissione di
moneta che dovrebbe servire all’estinzione
del debito.
Si osservi la struttura del primo principio dell’economia
dinamica, scritta solo in forma leggermente diversa, in cui Q è la liquidità, ΔU è la moneta circolante e L è la crescita, somma dell’aumento delle
attività produttive e dei capitali:
Q = ΔU + L (1)
Se la moneta
circolante ΔU si sta riducendo e non si ha crescita, ciò indica che è
stata ceduta liquidità all’esterno.
In sostanza, è in atto uno squilibrio
commerciale, dal lato del sistema in deficit,
prodotto da uno squilibrio monetario,
come ci si può rendere conto dal post
precedente.
Se, invece, nella (1), pur diminuendo il circolante, la crescita
riesce a compensare tale riduzione, e si ha un attivo di liquidità, il sistema sta attuando una svalutazione competitiva interna per
cercare di porsi in vantaggio competitivo.
Il sistema sta, quindi, dando origine anch’esso a uno squilibrio commerciale, stavolta, però, dal lato del sistema in surplus e sta contraendo la propria emissione monetaria con lo scopo di
generare uno squilibrio monetario.
In entrambi i casi, l’effetto complessivo è l’aumento
del rapporto ζ/m e, quindi, la
riduzione della probabilità di
monetizzare e del livello di
occupazione.
Tra i due sistemi vi è, però, una differenza
sostanziale. Mentre nel sistema in surplus
il livello di occupazione si stabilizza rapidamente perché la liquidità entrante permette di rendere stabile il circolante e aumenta la crescita, cioè produzione e capitali,
nel sistema in deficit, il deflusso
di liquidità penalizza sia il circolante sia la crescita, quindi produzione
e capitali.
Di conseguenza, la svalutazione
interna competitiva, attuata dal sistema che vuole esportare più degli atri, in ossequio al principio imperante della
competizione economica internazionale,
comporta un aumento della disoccupazione,
al proprio interno, abbastanza contenuta ma, per i sistemi che interagiscono
con esso, è causa di un aumento della
disoccupazione che si accresce inesorabilmente. In questi sistemi, inoltre,
il percorso della moneta subisce interruzioni
che le impediscono di giungere in tutte le sue parti – i sottosistemi – che, così, iniziano a deprimersi sempre di più, affiancando
alla disoccupazione, la sottoccupazione.
Quest’aumento
della disoccupazione può essere mitigato, in un primo tempo, dall’arrivo di capitali del sistema in surplus
che, così, espande la propria attività
economica all’interno del sistema in deficit. L’azione di questi capitali ha, però, un’azione limitata
nel tempo perché non è volta a espandere
il circolante ma solo a sfruttare il livello di domanda residua all’interno del sistema in deficit, con lo scopo di sottrarre altra liquidità funzionale ai propri meccanismi interni. Sicché, la sottrazione di liquidità continua
accompagnata dalla contrazione del
circolante.
Ciò porta, all’interno del sistema in deficit, a un progressivo aumento
relativo del debito rispetto alla moneta che serve per estinguerlo. Se si
osserva la figura 1, ciò indica che
il fattore monetario tende ad
abbassarsi e, contemporaneamente, aumenta, di nuovo, il tasso di disoccupazione, che coincide
perfettamente con il tasso d’interesse reale. Quando questo tasso d’interesse supera il tasso d’interesse atteso dalle attività
finanziarie, scatta la trappola della liquidità: i capitali si
arrestano di colpo e la disoccupazione
cresce senza limite alcuno e può portare anche alla deflazione da debiti.
In altre parole, man mano che procede la sottrazione
di liquidità, diventa sempre meno probabile, per chi investe
dall’esterno, ottenere un ricavo dalle attività produttive del sistema in deficit e il maggiore rischio d’investimento non è più confrontabile con il tasso d’interesse, percepito come più
sicuro e meno rischioso, che si ha nell’investire in attività speculative.
Queste attività
speculative, che sostituiscono l’azione dei capitali volti alle attività produttive, si orientano verso i
titoli considerati più sicuri, in un primo tempo, i Titoli di Stato. Non dimentichiamo, infatti, che l’attuale
meccanismo della bilancia dei pagamenti
impone – si ribadisce, impone, non dà
facoltà – di compensare il conto corrente
negativo della bilancia commerciale
con conto finanziario. Pertanto, chi
è in deficit è costretto a esporsi o
tramite l’arrivo dei capitali esterni
o tramite finanziamento che, come
detto, in un primo tempo, si orienta verso i Titoli di Stato.
Le attività
speculative sui Titoli di Stato rendono, però, più gravoso, per effetto
degli oneri passivi derivanti, il
finanziamento del fabbisogno pubblico
e, così, il circolante deve contrarsi
ancora di più, e ciò comporta altra riduzione di emissione monetaria che abbassa ancora di più la probabilità di monetizzare e innalza il livello di disoccupazione. Il tutto
assomiglia, quindi, a un cane che cerca
disperatamente di mordersi la coda.
Sembrerebbe che questa conclusione sia troppo
pessimistica, perché quanto sopra detto è, in realtà, la fotografia dell’Europa
dei nostri giorni e sembra che, in questo momento, la situazione si sia
stabilizzata. Questa stabilizzazione, tuttavia, è dovuta a una cosa soltanto;
al Quantitative Easing (QE) che la
BCE sta attuando con emissione di moneta
a pioggia sulle banche. Questa costituisce una sorta di “ombrello”, oggi
dell’UE, per la verità maldestro, perché non risolve il problema degli squilibri alla fonte; ma si tratta, pur
sempre, di un ombrello. Qualora quest’ombrello dovesse essere chiuso, ad
esempio perché i Titoli di Stato sono declassati sotto il rating BBB, se ne vedranno delle belle; … e sarebbe il caso di dire
brutte! Brutte assai!
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