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domenica 21 febbraio 2016

Disoccupazione



La causa della disoccupazione: gli squilibri

Dietro ogni aumento della disoccupazione si cela sempre un qualche squilibrio commerciale prodotto da uno squilibrio monetario. Infatti, la misura del livello di disoccupazione è quella percentuale di unità di un sistema economico che non trovano lavoro, non perché abbiano preferenza per il tempo libero, ma perché la probabilità che una data attività economica abbia successo e sia monetizzabile è bassa.
Pertanto, il livello di disoccupazione è legato in maniera diretta alla probabilità di monetizzare una data offerta economica. In sostanza, la ragione essenziale, già individuata da Keynes, consiste nel fatto che l’offerta non è supportata dalla domanda
La probabilità di monetizzare un’attività economica è, nel modello di economia dinamica, l’elemento decisivo che concorre alla determinazione del livello dei redditi ed è del tutto identificabile col livello di occupazione; fa accrescere il reddito quando è alta, lo deprime quando è bassa.

Non è difficile comprenderne il perché anche senza ricondursi a modellazioni matematiche. Infatti, se la probabilità di perdere il posto di lavoro aumenta, diminuisce il reddito medio perché le persone sono più disposte ad accettare una riduzione del reddito pur di conservare il posto di lavoro.
È possibile rendersi conto di cosa prevede il modello, osservando l’animazione della figura 1.
La probabilità di monetizzare e il livello di occupazione dipendono dal rapporto tra la preferenza per la liquidità e l'emissione monetaria unitaria che determinano anche il tasso d'interesse reale, o critico, che coincide con il livello di disoccupazione
Figura 1
Si osserva che la probabilità di monetizzare, ossia il livello di occupazione all’interno di un sistema economico omogeneo caratterizzato da una data preferenza per la liquidità ζ e da una data velocità di circolazione N, è fortemente influenzata dal rapporto tra emissione monetaria unitaria m e preferenza per la liquidità.
Si nota, inoltre, che il fattore monetario F varia anch’esso, quando il reddito si deprime, e ricordiamo che, indicando con N la velocità di circolazione e con D il debito, esso rappresenta il rapporto:
F = (N·m – D)/ (N·m + D)
In sostanza, quindi, quando il fattore monetario F diminuisce, si sta accrescendo il debito complessivo del sistema rispetto alla quantità di moneta circolante, rappresentata, all’incirca, dal prodotto N·m. Pertanto, il sistema economico sta subendo una contrazione di emissione di moneta che dovrebbe servire all’estinzione del debito.
Si osservi la struttura del primo principio dell’economia dinamica, scritta solo in forma leggermente diversa, in cui Q è la liquidità, ΔU è la moneta circolante e L è la crescita, somma dell’aumento delle attività produttive e dei capitali:
Q = ΔU + L        (1)
Se la moneta circolante ΔU si sta riducendo e non si ha crescita, ciò indica che è stata ceduta liquidità all’esterno. In sostanza, è in atto uno squilibrio commerciale, dal lato del sistema in deficit, prodotto da uno squilibrio monetario, come ci si può rendere conto dal post precedente.
Se, invece, nella (1), pur diminuendo il circolante, la crescita riesce a compensare tale riduzione, e si ha un attivo di liquidità, il sistema sta attuando una svalutazione competitiva interna per cercare di porsi in vantaggio competitivo. Il sistema sta, quindi, dando origine anch’esso a uno squilibrio commerciale, stavolta, però, dal lato del sistema in surplus e sta contraendo la propria emissione monetaria con lo scopo di generare uno squilibrio monetario.
In entrambi i casi, l’effetto complessivo è l’aumento del rapporto ζ/m e, quindi, la riduzione della probabilità di monetizzare e del livello di occupazione.
Tra i due sistemi vi è, però, una differenza sostanziale. Mentre nel sistema in surplus il livello di occupazione si stabilizza rapidamente perché la liquidità entrante permette di rendere stabile il circolante e aumenta la crescita, cioè produzione e capitali, nel sistema in deficit, il deflusso di liquidità penalizza sia il circolante sia la crescita, quindi produzione e capitali.
Di conseguenza, la svalutazione interna competitiva, attuata dal sistema che vuole esportare più degli atri, in ossequio al principio imperante della competizione economica internazionale, comporta un aumento della disoccupazione, al proprio interno, abbastanza contenuta ma, per i sistemi che interagiscono con esso, è causa di un aumento della disoccupazione che si accresce inesorabilmente. In questi sistemi, inoltre, il percorso della moneta subisce interruzioni che le impediscono di giungere in tutte le sue parti – i sottosistemi – che, così, iniziano a deprimersi sempre di più, affiancando alla disoccupazione, la sottoccupazione.
Quest’aumento della disoccupazione può essere mitigato, in un primo tempo, dall’arrivo di capitali del sistema in surplus che, così, espande la propria attività economica all’interno del sistema in deficit. L’azione di questi capitali ha, però, un’azione limitata nel tempo perché non è volta a espandere il circolante ma solo a sfruttare il livello di domanda residua all’interno del sistema in deficit, con lo scopo di sottrarre altra liquidità funzionale ai propri meccanismi interni. Sicché, la sottrazione di liquidità continua accompagnata dalla contrazione del circolante.
Ciò porta, all’interno del sistema in deficit, a un progressivo aumento relativo del debito rispetto alla moneta che serve per estinguerlo. Se si osserva la figura 1, ciò indica che il fattore monetario tende ad abbassarsi e, contemporaneamente, aumenta, di nuovo, il tasso di disoccupazione, che coincide perfettamente con il tasso d’interesse reale. Quando questo tasso d’interesse supera il tasso d’interesse atteso dalle attività finanziarie, scatta la trappola della liquidità: i capitali si arrestano di colpo e la disoccupazione cresce senza limite alcuno e può portare anche alla deflazione da debiti.
In altre parole, man mano che procede la sottrazione di liquidità, diventa sempre meno probabile, per chi investe dall’esterno, ottenere un ricavo dalle attività produttive del sistema in deficit e il maggiore rischio d’investimento non è più confrontabile con il tasso d’interesse, percepito come più sicuro e meno rischioso, che si ha nell’investire in attività speculative.
Queste attività speculative, che sostituiscono l’azione dei capitali volti alle attività produttive, si orientano verso i titoli considerati più sicuri, in un primo tempo, i Titoli di Stato. Non dimentichiamo, infatti, che l’attuale meccanismo della bilancia dei pagamenti impone – si ribadisce, impone, non dà facoltà – di compensare il conto corrente negativo della bilancia commerciale con conto finanziario. Pertanto, chi è in deficit è costretto a esporsi o tramite l’arrivo dei capitali esterni o tramite finanziamento che, come detto, in un primo tempo, si orienta verso i Titoli di Stato.
Le attività speculative sui Titoli di Stato rendono, però, più gravoso, per effetto degli oneri passivi derivanti, il finanziamento del fabbisogno pubblico e, così, il circolante deve contrarsi ancora di più, e ciò comporta altra riduzione di emissione monetaria che abbassa ancora di più la probabilità di monetizzare e innalza il livello di disoccupazione. Il tutto assomiglia, quindi, a un cane che cerca disperatamente di mordersi la coda.
Sembrerebbe che questa conclusione sia troppo pessimistica, perché quanto sopra detto è, in realtà, la fotografia dell’Europa dei nostri giorni e sembra che, in questo momento, la situazione si sia stabilizzata. Questa stabilizzazione, tuttavia, è dovuta a una cosa soltanto; al Quantitative Easing (QE) che la BCE sta attuando con emissione di moneta a pioggia sulle banche. Questa costituisce una sorta di “ombrello”, oggi dell’UE, per la verità maldestro, perché non risolve il problema degli squilibri alla fonte; ma si tratta, pur sempre, di un ombrello. Qualora quest’ombrello dovesse essere chiuso, ad esempio perché i Titoli di Stato sono declassati sotto il rating BBB, se ne vedranno delle belle; … e sarebbe il caso di dire brutte! Brutte assai!

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