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lunedì 7 marzo 2016

L’illusorio Prodotto Interno Lordo



L’aggregazione di grandezze disomogenee

Si consideri un sistema economico eterogeneo domestico composto da imprese, lavoratori, banche e via dicendo. Il reddito netto y derivante dalla produzione di beni e servizi è dato dalla differenza tra la produzione complessiva Y e gli investimenti I comprendenti salari e mezzi di produzione. In forma matematica, quindi si ha: y = YI.
Se l’intera produzione è consumata e non intervengono altri soggetti economici esterni che scambiano, cioè il sistema economico è chiuso, si ha y = C; ne consegue, per quanto sopra visto, che Y = C + I. Cioè, la produzione totale si suddivide in consumi C e investimenti I. Se, però, non tutto ciò che è prodotto è consumato, C < y = YI. Si hanno, quindi, dei risparmi S per cui accade che C + S = YI.
Questo è quello che avviene nel singolo ciclo produttivo. Nelle fasi successive, i risparmi possono essere reimpiegati in modi diversi.

Possono essere impiegati integralmente come capitale per l’avvio di attività produttive; e in questo modo essi, nelle fasi seguenti, confluiscono tra gli investimenti. In questo caso, quando cioè i capitali domestici derivano dai risparmi e le attività finanziarie mantengono un adeguato livello di fiducia nell’attività produttiva, considerando più cicli economici, deve aversi S = I, tendenzialmente. Cioè, in una situazione di fiducia, sono i risparmi a sostenere gli investimenti. In questo modo, però, tra un ciclo e un’altro può assistersi, comunque, a una fluttuazione degli investimenti perché, se in un ciclo aumentano i consumi si riducono i risparmi e il viceversa accade quando i consumi si riducono. Perciò, se i capitali, impiegati in ogni ciclo, dipendessero soltanto dal finanziamento a breve e medio termine derivante dai risparmi, le fluttuazioni degli investimenti potrebbero divenire insostenibili. Si ricorre, allora, a una sorta di volano degli investimenti: l’attività finanziaria, associata ai prestiti di lunga scadenza.
Può però accadere che i risparmi non siano impiegati per confluire su investimenti produttivi, attendendo l’esaurimento dell’intero ciclo produttivo, ma con lo scopo di compiere attività speculative. Questa condizione, in cui il capitale è impiegato per ottenere guadagni nel brevissimo periodo, è sintomatica di una fiducia nel sistema economico che inizia a mostrare incertezza. Così, sebbene i titoli finanziari mantengano nominalmente il loro carattere di finanziamento a lunga scadenza, essi sono continuamente contrattati e ricontrattati con lo scopo di ottenere guadagni, non in base al loro effettivo rendimento a lunga scadenza, ma in base al rendimento presunto e auspicato nel brevissimo periodo. Accade, così, che le attività produttive di maggior respiro vengano a essere penalizzate a favore di quelle che permettono rendimenti più immediati. In questa situazione, può assistersi al disinvestimento verso queste forme di attività produttiva, di maggior respiro, che, nonostante la percezione degli operatori finanziari, possono essere più valide e redditizie, nel lungo periodo, di altri tipi d’investimento.
Se la fiducia nel sistema produttivo diventa molto bassa, a causa di un’incertezza diffusa, può anche accadere che i risparmi non siano mobilitati del tutto. Cioè, essi permangono sotto forma di depositi inattivi non impiegati per gli investimenti. Questa condizione, tipica della trappola della liquidità, comporta che, adesso, deve aversi: S > I. In sostanza, gli investitori – ossia quelli che detengono i risparmi, o li amministrano – cercano settori d’investimento più redditizi che non riescono a trovare nel sistema domestico e, perciò, preferiscono immobilizzarli.
Occorre chiarire che la fiducia sopra indicata si riferisce al modo in cui è percepita la possibilità che abbiano successo le attività economiche diverse dal semplice accumulo monetario.
In realtà, la condizione S > I si manifesta sempre. Essa tende all’uguaglianza solo quando il grado di fiducia percepito è alto. Il grado di fiducia decade, però, se si manifesta incertezza e ciò si esaspera per effetto di condizioni debitorie, via, via, sempre più gravi.
Assunto, quindi, che nel sistema economico debba valere la disuguaglianza tra risparmi e investimenti, e non l’uguaglianza, se è presente incertezza, deve aversi, anche tendenzialmente, che C < y = YI.
È a questo punto che in questa relazione può entrare in gioco quel termine, introdotto a suo tempo da John Maynard Keynes, e, oggi, tanto vituperato: la spesa pubblica G che rappresenta l’intervento diretto da parte dello Stato. Con questo intervento, lo Stato si comporta da consumatore e datore di lavoro di ultima istanza, con lo scopo di sostenere i consumi, sia provvedendo esso stesso mediante forniture pubbliche e appalti,  sia mediante politiche di sostegno ai redditi volte a fornire servizi pubblici e, nel contempo, valorizzare quelle attività – cose utili – che la visione di short termism non ritiene redditizie nel breve periodo: istruzione, sanità, difesa, protezione idrogeologica, infrastrutture e via dicendo. Sommando tale termine al primo membro, può, così, ottenersi l’uguaglianza C + G = YI.
È facile, da quest’ultima relazione, desumere la seguente, che vale nel caso di un sistema economico chiuso:
Y = C + G + I
In questo caso, essendo Y la produzione che permette il consumo totale di quanto prodotto, quindi tutto ciò che è domandato in termini sia di prodotti finiti, sia di mezzi di produzione, la relazione ottenuta rappresenta la domanda aggregata di un sistema economico. Si badi bene che, senza il termine G – la spesa pubblica – questa relazione non può essere definita, perché solo tale termine permette il raggiungimento dell’uguaglianza tra reddito netto e consumi, al netto dei risparmi la cui funzione rimane quella di sostenere gli investimenti. Questa relazione costituisce, oggi, anche la base di quel che è definito Prodotto Interno Lordo (PIL) e si ha PIL = Y.
Tuttavia, la tendenza, oggi, è, se non sostituire del tutto, affiancare alla spesa pubblica – e agli investimenti – le attività finanziarie fin che dovrebbero sostituirne, in parte, l’azione. Sicché, essa diventa:
PIL = C + G + I + fin
La ragione di questa scelta è dettata da un’esigenza ben precisa; contenere l’emissione di moneta il più possibile per contrastare quel che, dagli anni settanta, è considerato il “nemico pubblico numero uno”, l’inflazione, quando, invece, per un sistema economico, il vero pericolo è rappresentato dalla deflazione, in particolare quella da debiti, non dall’inflazione.
Infatti, la spesa pubblica consiste, sostanzialmente, nell’emissione di moneta aggiuntiva che, però, dovrebbe viaggiare su un canale monetario diverso da quello su cui viaggia l’emissione monetaria che fa capo agli investimenti – anche questa contratta dall’attività finanziaria – e, precisamente, sotto il controllo diretto dello Stato, com’era nelle intenzioni originarie. Pertanto, l’azione del termine sostitutivo fin serve a contenere la quantità di moneta emessa e sostituire a essa quasi-moneta; ossia, titoli di debito.
Si noti, inoltre, che nella relazione sopra indicata vi è il PIL, non più Y, e, in questa forma, essa non è più una domanda, che, per essere tale, richiede moneta, sia per l’acquisto di beni di consumo, sia di beni capitale. Si ha, quindi, che il termine fin, che sostituisce, in parte, spesa pubblica e investimenti, ha la tendenza a deprimere il livello di domanda interna.
Finora, si è trattato un sistema chiuso. Per rimuove questa limitazione, è sufficiente sostituire al termine che rappresenta i soli consumi interni, un termine che rappresenta la somma dei consumi interni C, delle esportazioni X e della riduzione dei consumi di prodotti domestici causata dalle importazioni M. Cioè CC + X – M. Si ottiene, quindi, l’espressione finale del PIL:
PIL = C + G + I + X – M + fin
In questa espressione, il termine fin comprende anche il saldo delle attività finanziarie sul settore estero.
Il PIL è, oggi, considerato l’indicatore più efficace per descrivere lo stato di salute di un sistema economico perché esso rappresenta la ricchezza complessiva prodotta. Vediamo se è davvero così, mettendolo nella forma seguente, in cui Y è la domanda aggregata:
PIL = Y + fin
Ricorrendo al primo principio del modello di economia dinamica:
ΔU = Q - L
si vede che se PIL = ΔU, Y = Q – cioè l’aumento di ricchezza è il PIL e la liquidità è la domanda Y – deve essere:
fin = - L
cioè, i finanziamenti non supportati da moneta emessa costituiscono una crescita (dinamica) negativa. Infatti, se il termine fin è positivo, ciò indica che si è ricevuto un finanziamento che è l’aumento di attività economica, di tipo finanziario, di qualcun altro.
Quest’osservazione assume un rilievo tanto maggiore, per un sistema domestico, quanto più grande è il contributo nel termine fin del settore estero. Ciò perché, in questo caso, l’espansione dell’attività economica del settore finanziario estero avviene in danno all’attività finanziaria degli omologhi settori domestici. Infatti, l’attività finanziaria estera sottrae possibilità di sbocco ai capitali domestici che non possono essere impiegati più per espandere la loro attività economica sugli stessi settori sui quali agiscono i capitali esteri. I capitali domestici diventano, così, moneta immobilizzata.
Questo comporta che il sistema domestico sta aumentando la propria preferenza per la liquidità e quest’aumento è sintomatico del formarsi di debito non estinguibile tramite il circolante.
Se aumenta fin, quindi, aumenta anche il PIL; ma quest’aumento è puramente illusorio perché è accompagnato dall’accrescersi della preferenza per la liquidità che deprime il sistema economico sottraendogli fiducia. Infatti, l’accrescersi della preferenza per la liquidità è sintomo di incertezza, crollo della fiducia e, infine, aumento del debito. Quando gli investitori esteri si rendono conto di questo stato di cose, quando l’informazione si diffonde, quando l’entropia si massimizza, si manifesta il blocco dei finanziamenti, il sudden stop, che porta al collasso repentino del sistema economico e all’esposizione debitoria in tutta la sua gravità.
Il tutto nasce dall’aver supposto che la moneta possa essere sostituita da qualcos’altro, la quasi moneta, che l’intervento dello Stato possa essere sostituito dall’azione dei mercati finanziari, che nel PIL si possa ficcare tutto quel che si vuole: tante cose, però, tutt’altro che omogenee tra loro.

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