Un indice sullo stato di salute di un sistema economico
Si presenta, adesso, un indice impiegato in ambito microeconomico. Questo indice prende il
nome di elasticità ed è riferibile
anche, nell’ambito della dottrina macroeconomica neoclassica micro fondata, alla curva di offerta aggregata, cioè al legame tra prezzo e produzione
offerta. Questo indice, nel caso in esame, è definito come il rapporto tra
l’incremento relativo della produzione offerta
e l’incremento relativo dei prezzi: e = (ΔQ/Q) /
(Δp/p).
Sulla scorta di questo indice, si dice che l’offerta
può essere rigida, elastica o unitaria a seconda che e
sia, rispettivamente, inferiore, superiore o uguale all’unità. Secondo i
neoclassici, quando l’offerta è rigida,
ogni aumento della quantità prodotta è destinato a generare inflazione perché, essendo e < 1, a un dato incremento relativo
di produzione deve corrispondere un incremento relativo dei prezzi ancora più
grande.
Secondo questa visione, l’aumento dell’offerta, quando
vi è rigidità, è possibile solo
mediante l’aumento degli investimenti
sostenibile, a sua volta, solo attraverso l’ampliamento dell’emissione monetaria che, in pieno
accordo anche con la teoria monetarista,
all’equilibrio tra domanda e offerta,
porta a un surplus della domanda
rispetto all’offerta, facendo lievitare i prezzi e rende il sistema economico
meno competitivo nella dinamica degli
scambi commerciali con l’estero.
L’emissione
monetaria è, in sostanza, un allargamento della base monetaria ottenibile tramite tre diversi tipi di canale
monetario: il canale monetario bancario,
che fa capo alla Banca Centrale, il canale monetario del Tesoro, che fa uso
della Spesa Pubblica, e il canale monetario estero, che si basa
sulle esportazioni.
Di questi tre tipi di canale monetario, quello del Tesoro, dagli anni ’80, ha subito, e
continua a subire, una continua e inesorabile contrazione, se non, addirittura,
un annientamento, dovuto al vincolo del pareggio
di bilancio nel settore pubblico, in quasi tutti i Paesi, per il prevalere
del paradigma della competizione economica su quello della cooperazione.
Ciò proprio per effetto dell’affermarsi del criterio legato alla rigidità dell’offerta che deve, invece,
diventare elastica o, come più spesso
si sente dire, flessibile con
particolare riferimento al mercato del
lavoro. Sono ormai lontanissimi i tempi in cui l’imprenditore statunitense Henry Ford aumentava i salari ai propri
lavoratori per consentir loro di acquistare le macchine da essi stessi prodotti;
strategia intelligente e molto furba,
che fu una delle chiavi del suo enorme successo imprenditoriale.
Il modello di economia
dinamica – o econodinamica – è
così denominato perché la configurazione derivante dagli scambi economici non è ottenuta ricorrendo all’equilibrio macroeconomico tra domanda e offerta, ma in base alla massima probabilità che tale
configurazione ha di verificarsi. La configurazione economica realizzabile è,
in sostanza, quella che rispetta il principio di massima entropia. Inoltre, ogni sistema economico Paese, o un aggregato
di Paesi, non è inteso come un’entità unica sulla quale possono farsi delle
previsioni, senza tener conto del fatto che esso è costituito da più sottosistemi interagenti tramite grandezze di scambio come liquidità e crescita e, ciascuno, caratterizzato da parametri diversi,
derivanti da vincoli e condizioni
contrattuali vigenti nel sistema economico complessivo.
Si è già visto, in altri post, che, nell’ambito del modello di economia dinamica, l’emissione di moneta legale è un elemento decisivo per risolvere le criticità di quei sottosistemi che soffrono un eccesso di debito dovuto a una contrazione di moneta circolante. Le criticità di uno o
più sottosistemi, alla fine, si
riflettono sul sistema economico complessivo sotto forma di crisi finanziarie, quando in essi si
manifestano sofferenze, elencate in ordine di gravità crescente, come trappola della liquidità, deflazione ordinaria e da debiti.
Nel modello econodinamico
si può determinare, per ciascun sottosistema
caratterizzato da una propria velocità degli scambi, una propria preferenza
per la liquidità – che è il quanto di
scambio – un ben definito legame tra attività
economica, emissione monetaria
unitaria che vi giunge al suo interno e livello dei prezzi. Per un prefissato livello di emissione monetaria, per un generico sottosistema, è possibile ottenere il legame che esiste tra attività economica – nel nostro modello,
del tutto equivalente alla produzione
– e il livello dei prezzi. Questo
legame è riportato in figura 1 e
differisce da quello riportato altrove
in questo blog, solo per il fatto che
gli assi coordinati rappresentano le grandezze in scala logaritmica.
Figura 1 - legame logaritmico prezzi - produzione |
In questo modo, il coefficiente
angolare della retta tangente al grafico, con assi in scala logaritmica, in un punto costituente una particolare
configurazione assunta dal sottosistema,
rappresenta proprio l’elasticità di
questa curva. Per la precisione, rappresenta il reciproco dell’elasticità ed è, perciò, detta elasticità reciproca er.
Infatti:
er =
(Δln Q) / (Δln p) = (ΔQ/Q) /
(Δp/p) = 1/e
L’osservazione della figura 1 evidenzia un fatto notevole; precisamente, quando un sottosistema economico è pienamente sviluppato, se l’emissione monetaria non varia, la
sua elasticità è sempre, pressoché, pari a -1. Questo vuol dire che, in un
sistema pienamente sviluppato, la ricchezza
complessiva non varia sensibilmente al variare delle quantità prodotte e di
quelle domandate nelle interazioni di scambio. In queste condizioni – dette di
pieno regime, in altri post – è possibile attuare tutti quei
correttivi che la dottrina neoclassica e quella monetarista ritengono
applicabili, senza che si riduca, in alcun modo, la capacità economica del
sistema. La regione in cui ciò accade è rappresentata con il colore verde e in essa, in scala logaritmica, il legame tra prezzi e produzione è rappresentato da un tratto assimilabile,
in pratica, a una retta con coefficiente angolare pari a -1. Quest’andamento,
nel modello di economia dinamica, è
giustificato dal fatto che l’attività
economica V è così intensa che la preferenza
per la liquidità ζ – inversamente proporzionale all’attività economica
secondo una relazione del tipo ζ = λ/V
e strettamente legata alla quantità di debito
non estinguibile tramite il circolante – è del tutto trascurabile.
Le cose, però, cominciano a modificarsi
sostanzialmente quando l’attività
economica si contrae al punto che l’elasticità
reciproca del legame logaritmico prezzi – produzione inizia a discostarsi
significativamente dal valore er
= -1. Si vede, allora, che il sottosistema
economico mostra difficoltà via, via crescenti, man, mano che er cresce. È possibile vedere
che, quando er > -1, per la sua definizione matematica, allora ΔQ>0
comporta che Δ(pQ)>0; viceversa, se ΔQ<0 allora Δ(pQ)<0. Ciò vuol dire che, ora, il sottosistema è divenuto sensibile alle variazioni delle quantità
domandate e offerte. Questa sensibilità è tanto più alta quanto più grande è l’elasticità reciproca. In altri termini,
il sottosistema economico tende, adesso, a essere instabile. Questa regione, indicata con il colore giallo, è quella in cui il sistema è depresso.
Confrontando la figura
1 con questa figura, è facile
rendersi conto che la responsabilità dell’instabilità
del sistema è dovuta alla preferenza per
la liquidità e al debito non
estinguibile tramite il circolante. Ciò
è evidenziato dal valore assunto dal fattore monetario che inizia a contrarsi sempre di più, indicando che nel sistema
considerato giunge sempre meno moneta durante gli scambi.
Per effetto di uno squilibrio
commerciale o per l’effetto di politiche
economiche eccessivamente restrittive, il sistema può raggiungere condizioni
sempre più critiche. La condizione peggiore si ha quando è raggiunta la deflazione da debiti, indicata dalla
regione di colore rosso. In questo
caso, l’elasticità reciproca diventa
positiva e l’indice di variazione dei
prezzi assume la forma seguente: Δp/p
= er · ΔQ/Q. In queste condizioni, la contrazione di attività
economica fa crollare i prezzi,
mentre ogni tentativo di aumentare l’attività economica li fa lievitare sotto
forma di iperinflazione che coesiste
con un livello di debito altissimo (evidenziato
dal fattore monetario negativo); cosa
successa alla Germania della Repubblica di Weimar e all’Argentina sul finire
degli anni ’80 per effetto dell’immenso debito accumulato.
Poiché un sottosistema
siffatto interagisce comunque con gli altri sottosistemi, in particolare con
quelli creditori, è inevitabile che
questi ultimi ne risentano gli effetti sotto forma di crisi finanziaria (crisi dei mutui
subprime: attività finanziaria vs.
soggetti indebitati e insolventi) che può diventare dirompente.
Si comprende, perciò, che le tesi neoclassiche e
monetariste, nel momento in cui i sistemi economici raggiungono condizioni di depressione o, ancora peggio, di deflazione da debiti, sono inadeguate a
descrivere il funzionamento macroeconomico. Il motivo è semplice, si tratta di
dottrine nate e concepite in ambito microeconomico,
laddove l’azione della singola azienda non può incidere sul sistema complessivo.
Mantengono la loro validità in campo macroeconomico solo se il sistema
economico è lontano dalla depressione,
quando, cioè, l’elasticità reciproca resta costante. Alla lunga, però, come
successo dagli anni ’80 in poi, possono condurre lentamente i sistemi economici
a fuoriuscire dalla regione di pieno sviluppo,
rendendoli sistemi sottosviluppati e instabili.
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